giovedì 31 dicembre 2020

Tenet. Commento

Tenet, l'ultima fatica di Christopher Nolan, è il primo grande blockbuster a giungere dopo la pausa forzata provocata dalla pandemia. Con esso Nolan ha confezionato un avvincente e ambizioso spy movie che utilizza un linguaggio scientificamente verosimile per sovvertire la comune concezione lineare del tempo, e sfidare la messinscena hollywoodiana mediante una pellicola stratificata.
Nell'unico palindromo che ne identifica il titolo, Tenet è un film complesso, difficile ma straordinario, e fa dell'ossessione per il tempo il suo fulcro centrale. Ciò non deve stupirti perché "il tempo" è sempre stato una nozione importante per Nolan, a partire dall'esempio classico di Memento [dove l'intera vicenda è mostrata all'inverso], passando per Batman Begins e The Prestige [dove l'arco narrativo dei protagonisti è approfondito per tramite flashback], Inception [dove i livelli del sogno dilatano la percezione del tempo stesso], Interstellar [dove i viaggi cosmici conducono a un paradosso temporale], e Dunkirk [dove si esplora il conflitto intrecciando tre storie che durano rispettivamente un'ora, un giorno e una settimana].
La trama di Tenet - che vede un operativo americano della CIA senza nome e meglio conosciuto come "Il Protagonista", introdotto in un programma top-secret nel quale si troverà ad affrontare agenti e terroristi che si muovono a ritroso nel tempo, e dal cui esito dipende la sopravvivenza del mondo intero - fa della non linearità temporale e del nesso causa-effetto il magistero della propria narrazione, rafforzata, essa, dalla naturalezza e grandezza degli effetti visivi, della fotografia e dell'accompagno musicale. E se John David Washington è in grado di incantare lo spettatore, è anche grazie alla performance carismatica di Robert Pattinson, attore che apprezzi sempre più ad ogni film che lo vede scritturato. Tutto è strabiliante, in effetti in Tenet, e coraggiosamente bello.


Tenet è una vera e propria esperienza, forse non fruibile da tutti. Era l'evento cinematografico dell'anno già prima della pandemia, ed è diventato una sorta di Sacro Graal: non solo un film di Nolan - genio visionario di cui basta il nome per chiamare le persone al cinema, spesso mettendo d'accordo pubblico e critica - ma anche un film giunto in un periodo unico, nell'anno segnato dal Covid-19. È il perfetto specchio del nostro tempo, un mondo al collasso climatico, economico e sociale, che, con in più la confusione, l'inquietudine e la paura per il virus che ancora lo attanagliano, vorrebbe riavvolgere il nastro e tornare indietro di qualche anno.

giovedì 10 settembre 2020

Il ladro e il ciabattino. Breve storia e commento

Dopo The other side of the wind di Orson Welles (completato postumo quarantotto anni dopo, per Netflix, da Peter Bogdanovich),
I cancelli del cielo di Michael Cimino (restaurato e presentato nella sua interezza al Festival del cinema di Venezia vent'anni dopo - dov'è stato accolto tra mille plausi),
Superman II di Richard Donner (completato venticinque anni dopo da Donner stesso - grazie, pare, anche all'interessamento di Bryan Singer - al meglio che ha potuto, ovvero riciclando, per ragioni di coerenza narrativa, scene da provinaggi e dal girato di Lester),
Justice League di Zack Snyder (in uscita finalmente l'anno venturo per Warner Max, grazie al supporto e al tam-tam mediatico del movimento #ReleaseTheSnyderCut),

un altro caso cinematografico ha visto recentemente riabilitata la sua reputazione. Stai parlando de Il ladro e il ciabattino, film d'animazione diretto, co-sceneggiato e co-prodotto dall'animatore canadese Richard Williams (già vincitore Oscar per Chi ha incastrato Roger Rabbit?) a partire dal 1964, rimasto lungamente incompiuto per mancato supporto da parte delle major e rilasciato in qualche forma ottant'anni dopo da Garrett Gilchrist.

Il ladro e il ciabattino
è noto per la sua lunga e travagliata produzione dovuta a notevoli difficoltà formali e creative: l'opera venne interrotta e ricominciata fra vari produttori (Warner, Allied Filmakers, Miramax, Disney, Steven Spielberg) e sempre per gli stessi motivi, ovvero sforamento del budget e dei tempi di lavorazione dovuti all'elevata complessità dell'opera. Williams infatti, perfezionista, voleva realizzare "il film d'animazione più grande e bello che si fosse mai visto", mosso da 24 intercalari (quando Disney lavorava ancora ad appena 12 al sec.), fondali interamente animati e trovate grafiche avanzatissime e innovative. Il tutto, of course, senza computer ma... A MANO.
La fiaba originale, che parlava di una città orientale dorata invasa da banditi supercattivi, una principessa di colore dal carattere forte, un ciabattino eroe-per-caso, un ladro pasticcione, un sultano e un gran visir col pizzetto e la pelle blu, in realtà è uscita in due versioni nel corso degli anni; la prima nel 1993 marchiata Allied Filmakers e titolata La principessa e il ciabattino, la seconda nel 1995 per Miramax, titolata Arabian Nights e [orrore!] spacciata come un rip-off di Aladdin. Entrambe le predette versioni, oltreché di fatto incomplete in quanto Williams non aveva ancora ultimato il film e pertanto fortemente tagliate o rilasciate con materiale di collegamento realizzato da animatori a basso costo, presentavano rimontaggio e censure, musiche à la Disney, vocalizzazioni e doppiaggi non previsti, alterazioni nei nomi e nella trama, etcetera etcetera.
Ma ecco che, nel 2006 tale Gilchrist acquista i diritti e si adopera per un'attività di restauro, realizzando quella che oggi è conosciuta come Recobbled cut mark 4, utilizzando il più possibile il materiale originale inedito. Purtroppo, al fine di presentare un film il più completo possibile, Gilchrist ha dovuto far uso di storyboard, copie di lavorazione e animazioni fortemente incomplete ma, per fortuna, ha rimosso tutte le alterazioni apportate precedentemente. E sabato scorso, 8 settembre 2020, Enrico Gamba, yuotuber conosciuto come 151eg, ha pubblicato gratuitamente sul proprio canale YouTube una versione doppiata in italiano!
In tanti probabilmente non hanno nemmeno conoscenza di quello che stai parlando, ovvero de Il ladro e il ciabattino. Le due edizioni commerciali del '93 e del '95 peraltro sono state un fallimento commerciale. Eppure tanto ma davvero tanto di questo film è stato depredato da Disney e trafuso in Aladdin, dal contesto orientaleggiante alla principessa forte, dall'eroe per caso (ladro peraltro) al gran visir (praticamente identici), al sultano. Disney d'altronde non è nuova nel derubare le idee degli altri: tra i casi più eclatanti, Kimba il Leone bianco e Il mistero della Pietra azzurra.

Il ladro e il ciabattino resta un film d'animazione da vedere, per apprezzare la mole e la qualità del lavoro di Williams. L'aspetto visivo è superbo: ci sono scene molto veloci, dinamiche e deliranti, e l'espressività dei personaggi è ottima. Le musiche sono vivaci, di un genere che si usava tempo fa. La storia è semplice ma molto classica. Certo, non è invecchiato benissimo, ma è "il testamento di un regista rimasto vittima della propria ossessione e della propria incapacità di bilanciare l'ambizione artistica all'interno di un sistema che non contempla l'arte come un valore commerciale".

sabato 20 giugno 2020

Genesis does what Nintendon't! Nostalgia canaglia

È da anni, amico caro, che accarezzi l'idea di recuperare un Mega Drive 2 con Everdrive (una sorta di R4 capace di contenere in un'unica cartucciona flash tutta la softeca del 16-bit di mamma SEGA). Complice anche la nostalgia (canaglia) che ti ha riaggredito durante il lockdown spingendoti a recuperare i mitici I Quindici, l'enciclopedia flippotrippissima della tua infanzia, I libri segreti degli gnomi (questo era della tua mogliera e l'hai riportato all'ovile), e il set LEGO di Masters of the Universe con le minifigure "tutte da ringere" di He-man e Skeletoooooooor (invero non un prodotto d'antan ma sempre roba da nerd nostalgici est)!!!
Tornando a SEGA, avevi già avuto un attacco di nostalgia anni fa allorché recuperasti sulla Baia il Mega Drive Blaze, gingillo handheld prodotto su licenza dalla AtGames made in China ma chiaramente fin troppo economico: le incompatibilità erano tante e l'audio metallico.
A 'sto giro, per stare sempre sull'economico e sul facile andante, hai accattato dalle Amazzoni il Mega Drive mini, la mini-console ufficiale di SEGA con 42 giochi precaricati. Listone che annovera alcuni tra i più grandi classiconi di sempre dell'era 16-bit, con due bonus: il Tetris, finito ma mai rilasciato, e lo sparacchino Darius, appositamente riscritto per questa occasione.
Il box è una perfetta replica stile 'anta dell'originale. Enjoy!
Il Mega Drive (Genesis negli States) fu, imho, il primo della classe nella sua epoca (1988-1994). Prima console 16-bit uscita sul mercato, sviluppata attorno all'allora potente, inaffondabile e pur-sempre-glorioso Motorola 68000, il Mega Drive oscurò sul mercato occidentale la diffusione del SuperNintendo. Nonostante i suoi limiti tecnici - 64 colori su schermo da una palette di 512, audio 8-bit e assenza di proci dedicati a rotazione, scaling e trasparenze (effetti invece presenti sul 16-bit Nintendo, che peraltro aveva 256 colori su schermo a fronte di una velocità di clock più bassa) - il Mega Drive fu LA consolle dei "ganzi" e dei "bulletti"!
Console spettacolare per l'epoca, complice anche un graditissimo design nero futuristico, segnò indelebilmente il tuo debutto nel mondo dell'intrattenimento videoludico - fino allora limitato ai game&watch pezzenti comprati alle bancarelle. Ci sei cresciuto, vivendo la prima console war, dove difendere la console SEGA dai nintendari era serious business!
Ciò perché acquistandolo potevi portarti a casa le conversioni da sala di tanti arcade (v. Altered Beast, Golden Axe, Shinobi, Out Run, After Burner, Space Harrier, Hang-On, Streets of Rage, Strider, Street Fighter, Fatal Fury, Mortal Kombat, Samurai Shodown, Viewpoint, etc...), un frappo di conversioni da Amiga (v. Contra, Turrican, Another World, Flashback, Shadow of the Beast, Prince of Persia, Populus, Syndicate, Theme Park, Lemmings, Worms, Skidmarks, Soldiers of Fortune, Lost Vikings, Rock 'n' roll Racing, etc...), dozzine di sportivi targati EA Sports e SEGA Sports (dal calcio al golf, dall'hockey al basket, passando per il football americano e il baseball), e i classici esclusivi (v. Sonic, Gunstar Heroes, Alien Soldier, Comix Zone, Beyond Oasis, Dynamite Headdy, Ecco the Dolphin, SubTerrania, Vectorman, Alisia Dragon, Shining Force, Darkstalkers, Thunder Force, Skeleton Krew, Grind Stormer, Pulseman, Street Racer, Road Rash, etc...). Tanta tanta tanta roba!!!
Il SuperNintendo? a parte i multipiatta, era roba da rEgazzine pieno com'era fino alla nausea di platform ed RPG squisitamente nipponici! ma so' gusti, né!
Il listone del Mega Drive mini effettivamente comprende tanti dei titoli sopracitati, seppure con qualche assente importante. Tramite Project Lunar hai hackerato la console e sopperito non solo alle gravi mancanze ma, vieppiù, uppandoci Tanglewoods e Xeno Crisis, due giocazzi usciti l'altro ieri (sì, esatto l'anno scorso) e finanziati tramite Kickstarter.
Commenti a caldo? la consolina è una replica perfetta in miniatura del Mega Drive originale, con tanto di finti slot cartucce, porta d'espansione, controllo volume e jack cuffie (tutti clickabili o apribili sebbene, of course, senza funzionalità alcuna). L'uscita video è ovviamente a 720p via HDMI ma è possibile attivare il filtro CRT per simulare il tubo catodico. Il pad è una replica USB perfetta del primo pad (quello a 3 tasti, il 6 tasti è nel bundle del mini jappo). L'emulazione è ottima e dunque, nel complesso, tra output visivo e feeling del pad, il risultato è sicuramente riuscito. Sebbene, oh! giochi vecchi restano, nel concept e nella difficoltà, al punto da risultare noiosi o frustranti dopo poco per un videogiochista di oggi o di ieri frattanto cresciuto.
Commenti a freddo? purtroppo l'emulazione perfetta non è totale - come sempre accade con questi emulatori hardware. Per intenderci, l'emulazione di sofware per PC come KEGA rimane ancora inarrivabile. I 42 titoli saranno forse ottimizzati o scelti perché privi di glitch grafici. E difatti non tutte le ROM che hai aggiunto sono riuscite col buco: alcune non partono affatto (su tutte Virtua Racing e Duke Nukem 3D, che si avvalevano di chip aggiuntivi nelle cartucce), altre conservano i glitch grafici che avevano sul Mega Drive Blaze, altre ancora hanno avuto bisogno di essere patchate.
E quindi... niente: la console fisica resta sempre la scelta migliore!!! peraltro scopri che esiste ancora un mercato per il Mega Drive: oltre infatti a ben SEI giochi usciti negli ultimi anni, cavetteria, pad e parti di ricambio sono ancora prodotti.

Anche stavolta, la mano non è tua...

venerdì 22 maggio 2020

Zack Snyder's Justice League: commento a freddo e un po' di storia

Quasi esattamente due anni fa scrivevi questo post dove ricordavi gli altri tre clamorosi casi cinematografici - peraltro grandiosi capolavori - macellati prima dell'arrivo nelle sale (I cancelli del cielo di Michael Cimino, C'era una volta in America di Sergio Leone e Superman II di Richard Donner). Quest'ultimo, in particolare, ha con Justice League molto in comune: entrambi cinefumetti supereroistici, entrambi iniziati da un regista e conclusi da un altro, entrambi i filmaker originali - reduci da una precedente pellicola - estromessi nel sequel per "divergenze" creative con gli studios e sostituiti per dare alla pellicola un tono più leggero, entrambi film di casa Warner...
La storia di Justice League la sanno ormai un po' tutti. Pellicola attesissima dagli Snyder enthusiast e dai comixreader più maturi, ma cassata dai vecchi dirigenti e dal consulente creativo Geoff Johns che volevano toni più leggeri e un rating PG-13, in special modo dopo le critiche [di eccessiva lunghezza, complessità, oscurità e drammaticità] al bellissimo Batman v Superman, e che profittarono del lutto improvviso di Snyder (il suicidio della figlia adottiva Autumn) per allontanarlo dalla regia e sostituirlo con Joss Whedon. Già: Whedon, già regista dei due Avengers di Disney! chi più di lui avrebbe potuto accontentare mamma Warner nel dare toni più leggeri, pacchiani e Marvel-style agli eroi DC Comics?
Peccato che l'operazione non riuscì affatto: nonostante il budget da kolossal ($350 milioni), i troppi reshoot di Whedon, i buchi di trama, le incongruenze con l'universo tracciato da Snyder non accontentarono gli spettatori e lasciarono profondamente insoddisfatti i suoi fan. La versione cinematografica attesa da anni - si era parlato di una prima pellicola sulla Lega della Giustizia già nel 2007 diretta da George Miller - è stata totalmente e indiscutibilmente deludente. Tantoché già pochi giorni dalla prima nacque il movimento #ReleaseTheSnyderCut che in questi tre anni si è espresso tramite il Twitter wall, il gruppo Facebook For Snyder Cut - The Justice League movie we need and deserve, il sito forsnydercut.com e le tante manifestazioni di raccolta fondi a favore della American Foundation for Suicide Prevention, petizioni, proteste pacifiche, cartelloni pubblicitari, etcetera etcetera, e di cui anche tu hai fatto parte, contribuendo col pochissimo che hai potuto. Blog, giornalisti e detrattori vari hanno costantemente negato l'esistenza del taglio di Snyder, nonostante la fervente attività del regista su Vero rivolta nella direzione opposta: Snyder infatti non ha mancato di sottolineare l'esistenza del suo taglio, postando foto, clip e indizi, in ciò supportato dagli attori (su tutti Jason Momoa, Ray Fisher e in ultimo Ben Affleck e Gal Gadot), dallo storyboarder Jay Oliva, dal direttore della fotografia Clay Enos e dal compositore Junkie XL, fino a stuntmen, colleghi, amici, fumettisti, etcetera etcetera etcetera.
Giorno 20 maggio, dopo un evento annunciato sul social Vero [un watch party di Man of Steel commentato dal regista e dalla moglie Debbie Snyder e con l'ospite d'eccezione Henry Cavill], alla fine della Q&A session, Snyder ha sorpreso i milioni di fan collegati in streaming con l'annuncio della sua cut in arrivo, l'anno venturo, su HBO Max, il servizio di streaming di mamma Warner in lancio giorno 27 maggio pv.
Snyder ha ringraziato, giustamente, i fan. Perché, nonostante la convenienza economica dell'operazione per Warner ed HBO in termini di abbonamenti e visualizzazioni, ritorno d'immagine, spinta commerciale e pubblicitaria, ciò non sarebbe stato possibile senza il tam tam mediatico costante del fandom. Ha anche ringraziato la major Warner Bros. che così investendo ha implicitamente fatto mea culpa, dimostrando non di meno di essere davvero un grande studios all'altezza del suo antico e prestigioso nome.
Il film si chiamerà Zack Snyder's Justice League [un po' come il Superman II nominato The Richard Donner Cut]. Giacché non avrebbe avuto alcun senso chiamarlo semplicemente Director's cut o Extended cut. Snyder stesso ha ammesso che "sarà un'esperienza cinematografica totalmente differente dalla theatricul cut", nella quale - stando ai tanti rumor e ricostruzioni - è confluito appena un quarto del lavoro del regista. Una pellicola nuova che, forte di un ulteriore budget di 30 milioni di dollari, vedrà richiamare cast e crew per ridoppiaggi e reshoot - emergenza Covid-19 permettendo.
Verrà rilasciato l'anno prossimo venturo in formato miniseriale da quattro puntate da un'ora cad. in streaming, ma anche in unico montaggio [leggi "grande ed epico film di quattro ore"] su supporto fisico e fors'anche nelle sale. Fotografia aggiuntiva e post-produzione significheranno "ripristino di alcune idee originali ammorbidite già durante la fotografia principale" - ovvero: redesign di Steppenwolf e di Cyborg (che ad un certo punto si sarebbe dotato di un ulteriore paio di braccia), e chissà, magari l'inserimento di un finale alternativo conclusivo, visto che il Justice League originale avrebbe dovuto prevedere un sequel mai girato e in uscita il 14 giugno 2019.


Orbene,
piaccia o no Snyder, possa piacere o no il film quando uscirà, che peraltro porta con sé il peso di enormi aspettative e l'onere di correggere la debolezza della theatricul cut,
l'operazione ha davvero implicazioni importanti per il mondo del Cinema. Innanzitutto, si tratta una vittoria artistica per il regista permettendogli di chiudere il cerchio della sua visione e dimostrando che ci può essere spazio per l'autorialità anche nei kolossal da blockbuster. Secondariamente, l'atipicità della cosa [film terminato, abbandonato e lanciato in forma alterata in sala, ripreso quattro anni dopo con cast riunito, per venir rilasciato, in un taglio alternativo, su altri canali] rischia di creare un serio precedente. E in effetti, in questi ultimi anni, sono tanti i film e i serial che hanno deluso lo zoccolo duro dei fan o che hanno registrato cambi di regia in corsa, arrivando nella sola forma voluta da studios e produttori. Guerre Stellari e Il Trono di spade su tutti. Finora un'operazione del genere si era vista solo in qualche prodotto più di nicchia, quali libri, fumetti e videogiochi (v. Mass Effect 3 al quale BioWare diede un finale modificato via DLC per venire incontro alle critiche dei fan), ma oggi, 20 maggio 2020, ti viene praticamente detto "tranquì, retcon, nuove sottotrame e finali alternativi... sono qui: basta chiederli e dimostrare di far rientrare produttori, studios e investitori degli esborsi". Cosa ancora più importante, significa "rispetto" per il lavoro di un uomo che, dopo una terribile perdita, ha cercato di gettarsi a capofitto nel progetto, illuso che il lavoro l'avrebbe portato ad affrontare ed elaborare il lutto, ritenendo - a torto - che sarebbe stato catartico, che avrebbe giovato come via di fuga.
E infine una domanda: potrebbe il rilascio di questa cut cambiare le cose nel DC Cinematic Universe? Maybe... di sicuro non possiamo ancora saperlo. Indipendentemente dal successo ottenuto o mancato da Zack Snyder, la sua visione era grandiosa, epica e matura, ma i cinefumetti DC-Warner si sono costantemente allontanati dai suoi progetti dimostrando tutta la loro eterogeneicità, fino a creare dei mini universi narrativi sovente mal coesi tra loro (v. Wonder Woman e Aquaman, il DCAU, i Worlds of DC di Joker e del prossimo The Batman con Robert Pattinson, e i microcosmi televisivi CW e del Titansverse). Ma non puoi escludere nuove rotte, sottotrame esplorabili che potrebbero venire fuori, magari affidati a Snyder stesso, magari sotto forma di HBO Max Originals.
Non ci resta che attendere, guys: "conosco la strada, finisce in pianura".

sabato 25 aprile 2020

I Quindici. Nostalgia canaglia

Gli uomini in giacca e cravatta irrompevano nelle case di noi italiani medi del tardo pomeriggio. Madri e nonni li facevano accomodare nel salotto buono, offrendo caffè e liquori. Pieni di sussiego, aprivano la ventiquattrore e mostravano campioni freschi di stampa, stimolando curiosità e fantasia di grandi e piccini. E t'incastravano col pippone "del valore della cultura", "dell'investimento per il futuro", "della voglia di sapere dei giovini". Erano gli anni migliori dell'Italia, del progresso sociale e del miglioramento economico tangibili per tutti, fatti di cose concrete come la seconda automobile, la casa in affitto al mare, la lavatrice, il frigidaire e il forno a microonde, la TV nella stanza dei ragazzi, il telefono a disco... Ah, bei tempi!
L'altro ieri, complice la forzata permanenza a casa per COVID-19 in giro, la depressione serpeggiante per forzata inattività/inutilità, un attacco di nostalgia canaglia e la voglia di trasmettere a tua figlia "le cose belle della vita" di quelli che ricordi come tra i migliori anni [per te] di sempre (i mitologici anni Ottanta), hai recuperato sulla Baia - per quattro spicci davvero - I Quindici: I libri del Come e del Perché. I Quindici era un'enciclopedia per ragazzi d'importazione statunitense risalente al decennio precedente, ossia agli anni Settanta, derivata dall'opera d'oltreoceano Childcraft, the How and Why library ed edita e adattata in Italia dalla Field Educational Italia. Te hai recuperato la ristampa del 1993, e ad una prima sfogliata puoi ribadire che abbia rivisto quasi affatto i contenuti rispetto alle edizioni del ventennio precedente.
L'opera era composta da quindici volumi (da cui il nome) e venduta porta a porta col classico pagamento rateale. I primi quattordici volumi, rigorosamente monotematici (Poesie e filastrocche, Racconti e fiabe, Il mondo e lo spazio, Il regno animale, Il regno vegetale, Strumenti e meccanismi, Fare e costruire, Scienziati e inventori, Raccontaitalia, Luoghi da conoscere, Io e gli altri...) si rivolgevano ai ragazzi di massimo 10 anni, mentre il 15° era per le mamme in quanto conteneva voci su come conoscere, allevare, educare e curare i propri figli. Cinquant'anni fa però. Perché, diciamocelo, I Quindici, tolto il fascino di un'altra epoca e dell'essere tornato rEgazzino mentre li ripulivi, sfogliavi e mostravi a tua figlia, costituiscono per il 70% un esemplare primo approccio alla cultura (peraltro un po' meno divulgativa dall'altra enciclopedia di quegli anni Conoscere: Ieri, Oggi e Domani), ma per il resto risultano ridondanti di articoli vintaggissimi su argomenti ormai superati.
Le enciclopedie. Quanto erano fighe le enciclopedie! Oggi, tempi in cui per qualsiasi informazione basta un "aspetta che lo cerco" su Wikipedia, sembrano una roba inutile. Ma ai tuoi tempi non era così. L'enciclopedia era allora, per il ragazzino curioso assetato di sapere in orario non presidiato da cartoni alla tivvì o dai compagnetti sotto casa, uno strumento per esplorare il mondo. I Quindici, assieme a quell'altra enciclopedia già citata Conoscere, in un attimo ti rendevano onnisciente in fatto di dinosauri, macchine da guerra, pianeti del sistema solare, grandi felini, etcetera, il tutto sempre con un gran scialare di illustrazioni. Erano il web di noialtri. Il sapere analogico. Perché insegnavano ed emozionavano in maniera tangibile. Ovviamente secondo l'impostazione dell'informazione di quel tempo, ampiamente influenzata dai programmi ministeriali della DC, a loro volta condizionati dalla Chiesa Cattolica. Chiaro però come la tua odierna passione per la carta stampata e la tua scarsa propensione alla socializzazione e agli sport derivino da quegli anni trascorsi col naso tra le pagine.

un necessario tuffo nel passato

martedì 21 aprile 2020

Primum vivere, deinde philosophari


Le stime del PIL relative al primo semestre 2020 (peraltro non ancora conclusosi) sono di un calo [per il Bel Paese] di almeno del -15%. Un calo dell'attività economica e una crisi di intensità eccezionale, mai registrato nella storia della Repubblica italica. Anche durante la II Guerra Mondiale la gente stava barricata in casa, ma la scuola e il lavoro continuavano a funzionare con una certa regolarità. Dalla Guerra ci si è comunque risollevati discretamente in fretta, mentre un'epidemia comporta adattamenti, timori e conseguenze che possono trascinarsi per decenni.
È stato detto che la risposta per ripartire è indebitarsi. La priorità economico-finanziaria dei Governi è dunque garantire la sopravvivenza di famiglie ed aziende con politiche monetarie e fiscali espansive. Tutti concordano sulla necessità di aumentare i debiti pubblici e che questo non dovrebbe essere il momento per preoccuparsi delle eventuali future austerità della finanza pubblica che saranno necessarie una volta usciti dall'emergenza.
Ma forse, nella fase in cui gli Stati sono chiamati a rispondere è necessario "guardare" all'evoluzione dei debiti pubblici.
Secondo una elaborazione prospettica di LearnBonds.com, il rapporto debito/PIL del Giappone salirà nell'anno in corso al livello record del 279%, quello della Cina del 54%, gli States arriveranno al 131%, il Regno Unito al 96%, l'Italia al 156%, la Germania all'80%. Posto che il predetto debito è detenuto tanto da investitori che da risparmiatori (e tanto da operatori nazionali che esteri), più elevata è la dipendenza dai finanziamenti dei non residenti, maggiore è il rischio che la sfiducia scoraggi, in futuro, gli investimenti dall'estero. In questa graduatoria, il Giappone vive in un paradosso: "debito enorme, rischi minimi", perché - forza economica a parte - oltre il 90% è detenuto da soggetti residenti, mentre il più dipendente dall'estero è il Regno Unito (oltre l'80%). Gli States sono al 30% di dipendenza, la Cina al 16%. E, ricordiamocelo, tutti questi sono Stati-nazione in senso moderno a mente dei trattati di Westfalia. Godono cioé di tutti e quattro gli strumenti della politica economica, ossia politica monetaria, politica fiscale, politica valutaria e politica commerciale. Mentre l'Italia si attesta al 47% di debito estero su debito pubblico, sopravanzata dalla Germania (al 53%).
Nella fase di post-Guerra, iniezioni di liquidità e crescita della domanda, associate ad un elevato tasso di inflazione, sono stati i metodi tipici con cui i Governi hanno ridotto il peso del debito negli anni a venire. Ma questa soluzione, non è ipotizzabile per l'Eurozona, dove invece ortodossia vuole che gli aiuti arrivino solo tramite prestiti (redimibili dunque) e la BCE ha tra i propri compiti quello di garantire la stabilità dell'inflazione. Stante le predette regole, la riduzione dei debiti pubblici in prospettiva dovrà avvenire a livello di strette fiscali nazionali. Ecco perché non sono affatto folli le idee di:
- emettere obbligazioni comuni perpetue
- usare il cd. bazooka della BCE per immettere liquidità, a scapito della tanto demonizzata inflazione
- decidere la BCE stessa di cancellare parte di quei debiti, per alleggerire il fardello della crisi che verrà e dare ossigeno alla ripresa. E una chance alle generazioni future di un livello di qualità della vita accettabile.

venerdì 17 aprile 2020

"scrivo per me stesso, non tanto per un pubblico,
e perché forse è l'unico modo che conosco per parlare..."

Buona Apocalisse a tutti!

Un'epidemia è la diffusione su scala nazionale o mondiale (in questo caso "pandemia") di una malattia infettiva che colpisce un gran numero di individui in un arco di tempo discretamente breve.
Il coronavirus SARS-CoV-2, causante la malattia nominata dall'OMS Covid-19, ha iniziato a diffondersi nel mondo tra il dicembre 2019 e il febbraio 2020 a partire dalla Cina. L'Italia è tra i paesi più colpiti. Questo almeno fintantoché il virus non si diffonderà massicciamente in Africa, America Latina ed Asia Meridionale, cioé in quei paesi talmente poveri dove ci sono così tante persone che vivono in una stanza, in un condominio popolare, in una favela, che il distanziamento sociale diventa una presa in giro e lavarsi le mani non significa nulla. E per carità, anche in un paese ricco come gli States, privi di una sanità pubblica, i poveri, i non assicurati, i barboni, gli afroamericani e i latini periranno quattro volte più dei bianchi.
Tutti sono d'accordo sul fatto che la letalità del Covid-19 in sé stessa non sia altissima, che colpisce perlopiù soggetti deboli (anziani, immunodepressi e soggetti con malattie pre-esistenti), e che la gravità della pandemia è data dal fattore R0: a causa della rapidità del contagio, il numero dei malati dilaga, e le strutture e il personale sanitario finiscono col non essere sufficienti per fornire ai pazienti le cure necessarie, decretandone il decesso.
Assumiamo adesso un ragionamento scevro da complicazioni di carattere socio-economico e medico, e ragioniamo sotto un altro (triplice) aspetto.

- Innanzitutto Covid-19 ha portato in Occidente il concetto di morte in un modo che non era presente da decenni. Questo non è ovviamente vero per quei Paesi del mondo che quotidianamente sono afflitti da guerre, carestie, catastrofi e malattie. Ma nel ricco Occidente le nostre "società opulente" ci hanno allontanato dalla "morte", per affrontarla solo marginalmente, come i bigotti fanno con la "sessualità". Covid-19 ci ha rammentato che si muore. Con più facilità di quella che credevamo possibile fino a due mesi fa. In solitudine. Senza un funerale.
- Le epidemie hanno conseguenze anche psicologiche: l'individuo subisce un mutamento interiore in cui sentimenti, idee e passioni ne risultano stravolti. È questa una questione sottesa molto importante eppur trascurata. Il periodo prolungato di isolamento dalla vita sociale, di lontananza dal lavoro, di convivenza forzata con la famiglia senza momenti per sé, la paura di ammalarsi o contagiare i propri cari ogniqualvolta si esce a fare la spesa, possono creare ansia, stress, fragilità, apprensione, problemi di comunicazione e disagio. E se è vero com'è vero che alla crisi sanitaria si aggiunge la crisi economica, l'individuo tranquillo diventa aggressivo, il collerico esplode, e il panico, la depressione, l'anarchia, le violenze domestiche, il senso di rivolta e di riscatto dilagano. Anche perché la politica risulta nevvero impotente (a parte evitare crisi di liquidità alle imprese, sospendere pagamenti di tasse e debiti, erogare ammortizzatori sociali, non è facile riorganizzare le catene di fornitura e le filiere nel brevissimo periodo, quando la gente vuole evitare il contagio). Ancora: se oggi la regola per sfuggire all'epidemia è la distanza sociale, l'isolamento, lo stare a casa, essa si oppone alla "società aperta" e relazionistica alla quale eravamo abituati, allunga le distanze, rallenta gli affetti. La concezione dell'uomo come relazione, tipica di un certo personalismo filosofico, tramonta. Incita alla diffidenza verso il prossimo. Al razzismo. Allo sfilacciamento sociale e amicale. È la crisi del "mondo senza frontiere". È lo scenario di una società che si disaggrega nel caos, e che richiederà urgentemente nuovi modelli di lavoro, di relazione, di vita, di pensiero.
- Le epidemie hanno accompagnato la storia dell'umanità dall'inizio e si sono sempre intrecciate ad altri due flagelli: le guerre e le crisi economiche. Quando vigeva l'ignoranza però erano viste come "il castigo di Dio": "tria sunt flagella quibus dominus castigat" (tre sono i flagelli con cui Dio castiga i popoli: guerra, pestilenza e fame), ammoniva San Bernardino da Siena (XIV sec.). Questo adagio ci introduce al terzo punto: la teologia (o filosofia 🤔?). "La Chiesa è indietro di 200 anni rispetto alla storia", diceva il Card. Carlo Maria Martini (1983). Ma Dio esiste? Dio è giusto? Dio è rimuneratore o castiga e tribola? anche Dio è in quarantena? o piuttosto - come scrisse Philip K. Dick nel suo Nostri amici da Frolix 8: "Dio è morto. Hanno trovato il suo cadavere nel 2019. Galleggiava alla deriva nello spazio". Ovvio che da laico scettico privo di spirito sovrannaturale credo assolutamente che questo virus non sia stato mandato da Dio per punire l'umanità peccatrice. È effetto della natura. È un corollario della globalizzazione. Ma...
Questa è stata la prima Pasqua dopo chissà quanto a chiese chiuse, a funzioni assenti, mentre il popolo cattolico brancola disorientato. Covid-19 secondo alcuni teologi starebbe producendo ulteriori conseguenze nell'autodemolizione della Chiesa cattolica-apostolica romana, riscontrabile già da tempo nel lento e continuo allontanamento dei fedeli: templi e seminari sempre più vuoti, offerte dimezzate e calo dell'8permille, dissenso generalizzato, scisma de facto evitato appena pochi mesi fa, libertà religiosa e nichilismo imperanti, etcetera. Invero le iniziative dei sacerdoti che stanno pensando "mille modi" per essere vicini ai propri parrocchiani, sono viste come "provvedimenti da acquasantiera", perché le "pecorelle smarrite" non sono tra coloro che hanno sempre orbitato attorno all'Azione Cattolica e che di questi tempi si stanno autonomamente organizzando in improvvisati "centri d'ascolto a distanza", e non basa scrivere "da parte mia c'è tutta la buona volontà di venirti in aiuto" quando poi la realtà fattuale è tutt'altro. Quello che ha fatto la straordinaria decisione della Conferenza Episcopale Italiana (uniformandosi ai lockdown governativi), è stato "abdicare alla propria specifica missione di assistenza pastorale e cura della salute delle anime, facendosi silenziosamente da parte" perché "è l'ora degli esperti" (scienziati, medici e tecnici).
Dal punto di vista teologico, lo scenario che abbiamo davanti ti sembra l'inizio di periodo di crisi e cambiamento.
Il Doomsday Clock, l'Orologio dell'Apocalisse è dunque tornato a muoversi a inizio 2020. Stavolta però non per un riarmo nucleare, una guerra fredda, i cambiamenti climatici, i conflitti politici. Sta tickettando il tempo rimanente all'inizio del cambiamento.

mercoledì 15 aprile 2020

Chi poteva saperlo?

La "guerra del coronavirus" ci ha fatto capire che non è l'uomo che controlla la natura e la propria esistenza, ma che ci sono dei fattori che possono influenzare anche fatalmente e inavvertitamente la vita dell'uomo e il suo benessere. Covid-19 è lo specchio dell'amata/odiata globalizzazione: distruzione dell'ambiente, boom demografico, velocità degli spostamenti, disuguaglianze sociali, finta solidarietà tra le Nazioni, consumismo sfrenato, incremento della concorrenza su scala planetaria, delocalizzazione della produzione, perdita delle identità locali.
Cosa abbiamo sbagliato e cosa dobbiamo imparare da un'esperienza che ha portato il concetto di morte nelle nostre vite da occidentali in un modo in cui prima non era presente - a differenza di molte regioni del mondo quotidianamente afflitte da guerre, carestie e malattie? da un'esperienza che sicuramente farà da game changer cambiando gli equilibri politico-economici a livello globale, generando nuovi assetti (la globalizzazione segnerà il passo a favore della "regionalizzazione" e determinerà una svolta più sovranista in Europa?), mostrando gli errori della politica occidentale (tanto innamorata delle entità sovranazionali laddove invece il muro di Trump potrebbe diventare la metafora per una maggiore fiducia nelle barriere nazionali), del libero mercato, e forse anche della democrazia (quello che sta succedendo in Ungheria e in Polonia, sono due esempi molto chiari di come l'emergenza distrugga il sistema democratico e legittimi derive autoritarie)?
Ciò che è sotto gli occhi di tutti, è il limite che il coronavirus ha posto ad una società economica senza freni, cioé a quel modo sempre più libertario di puntare al libero mercato piuttosto che ad un mercato rispettoso delle giuste ed eque condizioni; un mercato che mira a far crescere i consumi piuttosto che favorire la qualità morale dell'offerta; un mercato dove vige la regola della deflazione salariale piuttosto che della premialità e dell'adeguata valutazione dei lavoratori; un mercato dove sussiste il paradigma delle banche che dominano sui Governi piuttosto che degli Stati-nazione che governano sulle banche.
Per decenni si è generato un conflitto sempre più forte del mercato con lo Stato, chiedendo a gran voce privatizzazioni, deregolamentazione, raggiungimento degli equilibri esclusivamente dalla mutua interazione di produttori e consumatori, astensione dell'interventismo statale, tagli alla spesa pubblica nel rispetto del Patto di Stabilità e Crescita... ora si chiedono gli aiuti governativi e il sostegno statale, tantoché anche la rigida Europa è arrivata a dire che «è chiaro che la risposta debba coinvolgere un significativo aumento del debito pubblico», che «la perdita di reddito del settore privato dovrà essere assorbita, in tutto o in parte, dai bilanci dei Governi», e che «livelli di debito pubblico più alti diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie dei decenni a venire».
In effetti potrebbe anche essere che non faremo nulla se non radicarci in una dimensione di amnesia collettiva, perseverando nel mito della crescita economica e dello sviluppo infinito anche a risorse del pianeta limitate, continuando nella nostra dichiarata guerra all'ambiente e chiudendoci negli egoismi e nei nazionalismi. Chi vivrà, vedrà.
Una cosa è certa però: gli sviluppi dell'emergenza pandemica in Italia sono accompagnati da un concerto di voci, più o meno istituzionali, che ripete il motto: "siamo tutti sulla stessa barca", "ognuno deve fare la sua parte", "andrà tutto bene", "nessuno deve sentirsi abbandonato, lo Stato c'è". Ma basta analizzare con un po' di attenzione e di lucidità per accorgersi facilmente che non è così. Migliaia di uomini che hanno perso la vita, ed altre migliaia che perderanno il lavoro. Gli aiuti sanitari che latitano, e il sostegno economico alle famiglie che non arriva. Politica, industriali e sindacati che litigano creando panico ed incertezze, e - nell'Italia dell'#IoRestoaCasa, il proletariato=masse di lavoratori regolarmente in marcia verso stabilimenti e aziende, muniti alla bisogna di autocertificazione, impegnati come sempre a garantire la produzione in quelli che sono i servizi essenziali, allorché il virus diventa "gestibile" con mascherine, distanze di sicurezza e spruzzi di disinfettante spesso dalla dubbia effettività. Non siamo affatto tutti sulla stessa barca: come in ogni guerra o shock c'è chi diventa ancora più povero e chi si arricchisce ancor di più. Per alcuni la vita è stata completamente stravolta ed ha aspettative distrutte, per altri non è cambiato quasi nulla (eccettuato il rischio ovviamente di ammalarsi). È stato detto anche che "le epidemie mostrano agli esseri umani chi sono veramente": tendenza al razzismo, diffidenza verso il prossimo, allentamento dei rapporti sociali, rivalutazione del rapporto con l'Io e con Dio.
Il punto alla fine è che tutti dobbiamo essere consapevoli che Covid-19 non è diverso dalla Spagnola, dalla Peste o dal Vaiolo. È una questione molto seria. L'immunità di gregge o il vaccino non arriveranno all'improvviso e nemmeno tanto presto. Qualcosa nella nostra vita cambierà e durerà ben più a lungo della malattia.

Il debito degli innocenti non commuove i mercati finanziari

Perché in un mondo in cui vale il vergognoso paradigma in cui il mercato finanziario domina sui Governi, l'accordo al ribasso dell'Eurogruppo non deve convincere te, me o chiunque altro, ma deve convincere i gestori di fondi comuni di investimento, i capi di tesorerie, le banche e gli intermediari finanziari... insomma tutti coloro che detengono una parte significativa dei debiti sovrani europei. Perché costoro, se intravedranno crepe che potrebbero portare a problemi di sostenibilità dei molti debiti pubblici dell'Eurozona (causata da una chiara mancanza di unione e solidarietà), non si fermeranno dall'attuare la solita speculazione finanziaria 🧐.

martedì 14 aprile 2020

Euro-Gold Standard

La storia è maestra di vita. Spesso però, troppo spesso, l'uomo la dimentica, la ignora o la svilisce relegandola a "passato".
Ancor prima che il coronavirus si scatenasse su un mondo impreparato, il ciclo del credito stava facendo cadere il mondo in recessione. È - lo ricordo ancora - post-crisi del 2007 (quella dei mutui sub-prime) che Eurolandia è in stagnazione secolare (con ovvie differenze tra un paese e l'altro). Covid-19 ha semplicemente peggiorato una situazione esistente, inceppando o rallentando le catene di produzione e approvigionamento. Ha messo in ginocchio invero anche democrazia ed equilibri socio-politici, ma "questa è un'altra storia e si dovrà raccontare un'altra volta".
Una recessione che rischia di venir trasformata dal coronavirus in un crollo, per reagire al quale molto verosimilmente non sarà sufficiente "l'accordo al ribasso" messo sul piatto dall'Eurogruppo che passa ancora oggi per la vetusta idea partita da Maastricht che "l'emissione monetaria è un malus e non può essere rivolta direttamente all'economia reale, men che mai al singolo Stato, ma solo attraverso prestiti per tramite del settore bancario e del mercato finanziario". Un'idea che ricorda tanto la frase di mariantonettiana memoria "se non hanno più pane, che mangino brioche".
I tanto incensati aiuti europei [a prestito] determineranno un aumento dell'indebitamento pubblico e privato, che giocoforza aprirà nuovi problemi, ovvero "rating del debito pubblico", "tagli lagrime e sangue", "discutibili riforme".
A causa dell'euro ci ritroviamo oggi con gli stessi problemi che affliggevano il Gold Standard: inutile negare le inquietanti similitudini tra il Sistema Aureo e il Sistema Monetario Europeo!
In parole spicce, il Gold Standard è stato un sistema monetario vigente fino al 1914 che ancorava, in maniera fissa, la convertibilità della cartomoneta alle riserve auree (che invasero l'Europa dalle "Indie occidentali") detenute da ogni Stato-nazione. Che è un modo, semplice, per calcolare quanta ricchezza c'è in un certo paese. Perché, avendo l'oro valore in quanto assoluta materialità, la ricchezza di ogni paese dipendeva in definitiva dalle riserve possedute dalla sua Banca centrale. Che poi l'accumulo di oro, e di ricchezza più in generale (ad es. prevalenza delle esportazioni sulle importazioni), ha sempre mosso popoli e Governi, sin dal mercantilismo, passando per il colonialismo, fino all'odierno imperialismo. Ma anche "questa è un'altra storia e si dovrà raccontare un'altra volta". Il Gold Standard aveva però un grosso svantaggio: l'essere legato ad una parità fissa col metallo prezioso impediva di creare moneta a piacimento e dunque legava le mani ai Governi (la ricchezza o c'era o non si poteva creare dal nulla), rivelandosi poco adatto a gestire gli shock. Tant'è vero che fu abbandonato (una prima volta) all'alba della I Guerra Mondiale, quando tutti i paesi si trovarono a dover finanziare lo sforzo bellico in disavanzo. E, tant'è vero (2) che l'economia statunitense si riprese dopo la Crisi del '29 grazie ad una svalutazione secca del -40% del dollaro rispetto all'oro.
Il Gold Standard ha avuto ritorni di fiamma tra le due Guerre, una nuova uscita nel 1931 e un remake nel 1947 con gli accordi di Bretton Woods, detto "Gold Exchange Standard" o più amichevolmente "Dollar Standard", in quanto la convertibilità fissa tra le valute nazionali era in dollari, i quali (e solo loro) erano legati ad un cambio predeterminato all'oro detenuto presso la FED. Il dollaro divenne la valuta principe negli scambi internazionali e moneta di riserva di valore. In seno a quegli accordi, peraltro vennero creati il FMI e la BIRS (Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo), col compito di vigilare sulla stabilità monetaria e ricostituire un commercio internazionale aperto e multilaterale, s'è del caso anche aiutando i paesi in via di sviluppo tramite il finanziamento di progetti mirati.
La crisi petrolifera del 1971 sancì la definitiva morte del Gold Standard quando Nixon abolì la convertibilità del dollaro in oro, decretando di fatto la nascita del "sistema fluttuante" e del "corso forzoso". L'era, tutt'ora in corso fuori dall'Eurozona, del "flat money" (denaro e basta), in cui le Banche centrali regolano a discrezione la quantità di denaro circolante e il suo costo (il tasso ufficiale di sconto) sulla base di esigenze di liquidità, shock sistemici ed ordini governativi. Sicuramente vantaggi e svantaggi (tra cui inflazione e speculazione finanziaria), ma è stata la fine della convertibilità ad aver permesso il superamento della crisi petrolifera, il boom economico del decennio successivo, e un più rapido e agevole smobilizzo delle ricchezze da un paese all'altro.
L'euro è per funzionamento e scopi un gold standard-like. Le parità tra le varie valute nazionali sono state fissate all'interno dello SME2 ed ancorate ad una valuta sovranazionale, di proprietà della BCE, che è spacciata come moneta comune. La capacità di emettere moneta è stata sottratta da tempo agli Stati ed affidata alla BCE sulla base del folle assunto delle "vergini vestali del pareggio di bilancio di Eurolandia che ritengono che non si debba spendere per stimolare l'economia". Ma l'Eurozona non è mai stata un'area valutaria ottimale: non ha mai presentato quelle caratteristiche (flessibilità delle retribuzioni, mobilità del lavoro, omogeneità di ricchezza e convergenza dei tassi d'inflazione) indispensabili per creare un'area a cambi fissi efficiente, specie a motivo della profonda differenza economica e culturale tra i diversi Paesi membri. E dunque non sono derivati per tutti quei vantaggi tipici di un sistema a cambi fissi, ovvero inflazione contenuta, stabilità economica e crescita, credibilità. Ragionando, un paese che non è riuscito a giovarsi pienamente della crescita economica tanto sbandierata dallo slogan dell'euro, e che si trovi ad essere membro di una area monetaria NON ottimale, si assoggetta ad un sistema ove dunque è impedita qualunque svalutazione deflattiva o creazione di moneta (come invece fanno States, Cina, Regno Unito e Giappone). In assenza di queste possibilità, occorre ricorrere alla deflazione salariale: vale a dire, precarizzazione del lavoro e riduzione dei salari per recuperare almeno a livello di export quella competitività di prezzo che ci è negata dalla scarsa produttività, ovvero alla tassazione come strumento di riequilibrio della bilancia commerciale (riducendo la liquidità delle famiglie si riduce il consumo e dunque la domanda). È vero, a monte in Italia ci sono una questione culturale (siamo un popolo di navigatori, artisti, letterati, (ex) bancari... cazzo ci serve studiare) e quelle carenze strutturali causate da decenni di bassi investimenti anche nel privato e nel sostegno statale alle imprese che le ha rese impreparate al contesto globale. L'euro ha semplicemente amplificato i nostri deficit, ma tant'è: "la storia non si fa con i sé e con i ma".
Coi vincoli imposti dal pareggio di bilancio, l'Europa ha in pratica deciso autonomamente che la quantità di moneta di cui potranno disporre gli Stati membri in caso di shock dev'essere limitata alla quantità di prestiti erogati dal mercato e dunque, per converso, alla quantità di tasse che gli stessi saranno in grado di prelevare alla cittadinanza per rimborsare le obbligazioni comuni emesse a fronte degli aiuti.
L'austerity fa comodo alla Germania per esercitare il controllo sugli altri Stati membri, ma con ciò stiamo deprivando le generazioni future di un livello di qualità della vita e di una possibilità di essere felici che non ci saranno.
Oggi uscire dall'euro sarebbe - per usare le parole del Prof. Fabio Sdogati - "un terremoto". Al momento dell'uscita - visto il vergognoso paradigma in cui il mercato finanziario domina sui Governi - gestori di fondi comuni di investimento, capi di tesorerie, banche e intermediari finanziari di tutto il mondo smetterebbero di comprare e richiamerebbero tutti i crediti erogati. Posto che i debiti contratti andranno ripagati in euro o in dollari, perché nessuno accetterà carta di nuovo (o vecchio) conio: non i Governi, non i mercati finanziari, non le imprese. Che, come sempre, occorrerà procurarsi in uno di due modi: esportando più di quanto non s'importi, o prendendo a prestito. E chi, dal resto del mondo, darebbe a prestito alle imprese, al Governo, ai residenti di un paese (magari oggi modesto com'è divenuta l'Italia che, sebbene ancora al tavolo dei G8 è scivolata davanti a Repubblica Ceca, Slovenia e Slovacchia, in zona retrocessione per percentuale di laureati e di occupati, neanche in classifica per l'adeguamento all'era digitale) che uscendo dall'Unione Economica e Monetaria si troverebbe da sola di fronte alla globalizzazione, anzi peggio, dinnanzi alla "regionalizzazione" del mercato globale [ossia frammentazione in macroblocchi con presenza di grossi attori e inevitabili accordi commerciali].
Dunque cosa fare? rivedere i princìpi dell'Europa, i trattati, le solidarietà, abolendo i parametri di Maastricht, il pareggio di bilancio e gli artt. 123 e 130 del TFUE che, l'uno proibisce alle Banche centrali di finanziare i deficit statali e l'altro sancisce l'indipendenza della BCE dai Governi nazionali, affinché il SEBC possa acquistare i titoli del debito pubblico nazionali non collocati sul mercato al fine di emettere liquidità reale.

lunedì 13 aprile 2020

Meno male che c'è l'Europa!!!

Il Presidente Giuseppe Conte, una volta, all'inizio della crisi europea [perché è anche questo che stiamo vivendo], ha detto "se non ci siete faremo da soli". Visto che l'Europa sta dimostrando di non essere assolutamente all'altezza del ruolo per cui è stata anche creata, considerato che sta mancando per la seconda volta [la prima è stata la crisi greca] il suo appuntamento con la storia, visto che si parla tanto di Europa ma che poi di fatto prevalgono soltanto i "nazionalismi" e gli egoismi dei paesi del blocco del Nord, visto che si parla del futuro nostro e dei nostri figli - sig. Presidente Le chiedo: "non è giunto il momento di fare da soli?". O quel "faremo da soli" era solo uno slogan? Possibile che l'unica via percorribile sia chiedere soldi alla maledetta Europa?
Dietro l'Eurogruppo (e il solito compromesso al ribasso che ha partorito) abbiamo perso settimane fondamentali, settimane che rischiamo di non recuperare economicamente, competitivamente e socialmente. Svegliamoci.
Perché possiamo anche credere che la posizione di questo Governo sul MES non cambierà. Ma se non partiamo subito con alternative nostre, ciò che nel breve termine si sta facendo (e non facendo) non sarà abbastanza: l'Italia è quasi alla canna del gas (essendo messa non certo bene da prima della "guerra del coronavirus") e i prossimi Governi potrebbero non avere altri strumenti se non quello di mettere il collo nel cappio del MES.

Il MES è un meccanismo di assistenza finanziaria (di "stabilità" dicono alla UE) agli Stati membri ma per la cui fruizione sono necessarie l'assolvimento di severe condizioni ed ulteriori cessioni di sovranità (queste condizioni - detta l'art. 12 dello Statuto del Fondo salva Stati - "possono spaziare da un programma di correzioni macroeconomiche al rispetto costante di condizioni predefinite". Nel caso della Grecia hanno comportato un vero e proprio commissariamento che ha imposto riforme "lagrime e sangue", vigilanza bancaria e tagli alla spesa pubblica), sebbene pare che per finanziare la spesa sanitaria le condizionalità saranno sospese. Occhio: perché, stando al memorandum, queste modalità light varranno solo per la durata dell'emergenza sanitaria... dopodiché verranno automaticamente ripristinate le severità. Doppio imbroglio: 1. posso accedere alla linea di finanziamento soft del MES solo per le spese sanitarie e di prevenzione - dirette o indirette che siano, non per aiutare l'economia o la liquidità delle imprese;
2. chi stabilirà il limite temporale dell'emergenza sanitaria facendo rientrare le condizionalità? l'Eurogruppo al quale il blocco del Nord porrà il suo veto?
Il MES non crea alcuna base monetaria ma funziona unicamente in base alle somme sottoscritte dagli Stati membri. Sottoscritte, non versate. L'Italia ad oggi è il terzo finanziatore del MES, avendo sottoscritto 125 miliardi di € (che per Statuto è tenuta a versare a semplice richiesta). A fronte di queste sottoscrizioni (che fungono da garanzia), il MES ha la capacità di emettere obbligazioni comuni, dalle quali l'Italia può ottenere una linea di liquidità fino al 2% del proprio PIL. In sintesi, tra versamenti effettivi (si parla di 14 miliardi di € per l'Italia) e sottoscrizioni, il MES reperirà fondi sul mercato per prestarcene una parte, sindacando ovviamente sul relativo impiego.
Il SURE, l'altra follia, l'ultimo venuto annunciato in pompa magna dalla Presidente della Commissione Von der Leyen. Si tratta di un fondo della Commissione finalizzato ad erogare prestiti ai Paesi che ne faranno richiesta per sostenere l'occupazione. A mo' di Cassa Integrazione. Esso potrà prestare fino a complessivi 100 miliardi a lungo termine, per ottenere i quali (non esistendo ad oggi un fondo) emetterà obbligazioni comuni garantite per almeno il 25% dai 27 Stati membri. In sintesi, daremo nostre garanzie per 25 miliardi di € affinché la Commissione reperisca fondi sul mercato e ce ne presti una parte, sindacando - anche qui - sul merito. Un passaggio da non sottovalutare sul SURE è che non esiste ancora! tra approvazione di trattato/statuto, discussione nei Parlamenti nazionali, erogazione garanzie ed emissione delle obbligazioni comuni passerà tempo. Mesi. Mentre gli effetti sull'occupazione e sui redditi dei lavoratori europei si stanno facendo sentire già adesso.
Poi c'è la BEI, la Banca Europea per gli Investimenti. Anch'essa per emettere obbligazioni comuni - usabili per erogare prestiti diretti alle imprese, con un occhio di riguardo alle PMI - dovrà rivolgersi ai mercati che, ovviamente, richiedono garanzie. Per inciso, l'Italia è azionista della BEI al 16% e tra i maggiori contributori per 39 miliardi di €.
Dunque, la fantomatica potenza di fuoco dell'Europa pari a 700 miliardi di € (400 MES + 100 SURE + 200 BEI), è costituita innanzitutto da prestiti erogati da una somma almeno cinque volte minore (miracolo del moltiplicatore bancario), somme che una volta concesse sono destinate a tornare indietro entro massimo dieci anni. Con gli interessi, come si conviene naturalmente a qualunque prestito. E che deriverebbero peraltro da contribuzioni o garanzie già prestate, a fronte dei quali - se malauguratamente qualche paese non rispondesse avvitandosi ancora più nella crisi - gli Stati membri sarebbero chiamati a versare. Come a dire - ed ecco lo schema geniale [per le banche, non certo per i Governi nazionali]: io Italia, tra i principali contributori di MES e BEI - da definire il SURE, ho già versato decine di miliardi di €. Voi, MES, BEI e SURE, mi presterete soldi già miei, e io ve li restituirò con gli interessi. In un ammontare peraltro modestissimo: secondo l'OCSE, lo shutdown si sta già traducendo in una contrazione media per l'Italia di quasi il 12% del PIL, laddove la tanto decantata "potenza di fuoco dell'Europa" mira a consegnarci risorse che non arriveranno nemmeno al 5% del PIL. Un pacchetto di misure dunque assolutamente non commisurato alla portata dell'impatto del coronavirus sull'economia europea! Tanto più che dopo l'emergenza coronavirus, l'indebitamento pubblico e privato aumenterà notevolmente. Perché io stessa, Italia, oltre a restituirvi il mio debito, potrei essere chiamata a liberare il capitale sottoscritto. Debito su debito.
Questo è il Sogno Europeo: il sogno in cui il mercato finanziario e le banche dominano sui Governi. L'Europa delle banche, non degli Stati nazionali.
Orbene. Poniamo che le misure del D.L. "Cura Italia" e del nuovo D.L. in arrivo questo mese risultino valide. Diamo per buono anche l'arrivo di credito dall'Europa - ma ribadisco che le prime si stanno rivelando inadeguate e il secondo arriverà con colpevole ritardo - il problema è il "dopo": aspettiamoci nuove privatizzazioni, svendite di beni pubblici, l'aumento tanto rimandato dell'IVA, ancora tagli a ricerca, istruzione e spesa militare (forse stavolta non alla sanità... se abbiamo imparato dalla storia), mancati rinnovi contrattuali agli statali, ritorno del blocco delle assunzioni via concorsi pubblici, taglio alle maxi-pensioni (ma magari!)... e chissà: nuova patrimoniale? aumento IMU seconde case? nuovo superbollo? inasprimento aliquote IRPEF e IRES? riforme "lagrime e sangue" signori miei, così da trovare i soldi e farli tornare nelle tasche dei falchi d'Europa, il tutto incensato da aumento di disoccupazione e lavoro irregolare.
Qua non si parla di chiedere soldi gratis e di spenderli come meglio ci pare senza doverne rendere conto. Qua si chiede di finirla di sognare sulla solidarietà. Cioé di poter bussare senza esitazione alla porta della BCE, la quale - in veste di Banca centrale - dovrebbe acquistare i titoli del debito pubblico nazionali stampando moneta e dunque immettendo reale liquidità. Pacifico ed incontestabile che fino a quando ciò era possibile in Italia (quando cioé la Banca d'Italia acquistava BOT e BTP dal Ministero del Tesoro), non vi era alcun indebitamento reale da parte dello Stato. Tale procedura infatti costituiva una semplice operazione contabile che, al contrario della cessione delle obbligazioni sui mercati, non comportava alcun costo per la Nazione. Creava liquidità reale. La frattura più profonda che sta attraversando l'Europa passa per l'appunto per la vetusta e anacronistica idea che ha partorito i parametri di Maastricht, in base alla quale l'emissione monetaria non debba essere rivolta direttamente all'economia reale, men che mai al singolo Stato, ma solo per tramite del settore bancario, pena creare un'inflazione che incrementerebbe il tasso di interesse ai virtuosi tedeschi e olandesi...
E qualcuno mi parla di voler cedere anche la sovranità fiscale all'Europa... folli e non nel senso decantato da Steve Jobs!
Meno male che c'è l'Europa!!!

venerdì 10 aprile 2020

Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza

È post-crisi del 2007 (quella dei mutui sub-prime della Goldman Sachs) che l'Italia è in ginocchio; una stagnazione secolare ["secolare" non nel senso che dura da un secolo, ma nel senso che non è "congiunturale"] dalla quale non si è ripresa a causa delle politiche di austerità delle "vergini vestali del pareggio di bilancio di Eurolandia" (cit Prof. Sdogati), che ritengono che non si debba spendere per stimolare l'economia.
Ma facciamo qualche passo indietro.
L'Europa, la Comunità Economica Europea per la precisione, nasce a Roma nel 1958 per far fronte all'esigenza della globalizzazione, tra gli allora sei paesi Italia, Francia, Germania dell'Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Creare un polo economico grande, forte, che potesse resistere e competere in un mercato globale e al contempo promuovere la cooperazione economica tra i paesi membri, riducendone il rischio di conflitti. Col tempo, quella che era nata come un accordo puramente economico, è diventata un'Unione aperta ad altri membri, anche extra-europei, ed attiva in tutta una serie di settori che vanno dal clima all'ambiente, alla salute, alla sicurezza, alla giustizia e all'immigrazione.
Nel 1992, al fine di rafforzare quel Sistema Monetario Europeo che avrebbe portato all'adozione della moneta unica (l'amato/odiato €uro), vennero sanciti i (folli) parametri di convergenza di Maastricht. "Folli" perché i parametri di Maastricht sono balle. "Furono fatti un po' a caso dai politici e non da economisti". Parole di Alan Friedman (giornalista ed economista statunitense), non mie. Non è che se avessimo un 7% di deficit sul PIL o lo spread alto l'economia non crescerebbe. La crescita è un fatto di lungo periodo e - anzi - richiede non solo riforme strutturali e scelte politiche sensate, ma soprattutto spesa pubblica.
Per uscire da una crisi e rilanciare l'economia ci sono quattro leve.
La prima, i consumatori. Se i consumatori consumano di più le imprese producono di più, producendo ricchezza (PIL) e aumentando l'occupazione. E se cresce l'occupazione aumenta la domanda, e dunque cresce ancora il PIL, etcetera = moltiplicatore keynesiano. Ma le aspettative attuali non sono certo rosee, anzi sono tragiche, specie all'indomani della "guerra del coronavirus". Come chiedere alle famiglie di consumare di più nell'immediato futuro? semmai costoro risparmieranno di più, limitando gli acquisti ai beni essenziali!
La seconda, gli investimenti privati. Ma come chiedere alle imprese di investire di più solo perché i tassi d'interesse sono bassi, se non ci sono prospettive di ripresa della domanda? perché produrre? per il magazzino?
La terza, l'estero? idem. "Stiamo vivendo uno tsunami che non ha nulla a che fare con shock asimmetrici", dunque ogni nazione vorrà esportare e ridurre le importazioni, ma in una crisi globale l'export globale va in panne, con ovvia ricaduta sulle produzioni interne! chi comprerà da chi? se l'economia globale si contrae, tutte le economie nazionali si contraggono!
Infine la quarta: il Governo. Come il Governo? in "un'economia di mercato"? Sì. Perché sono le politiche economiche del Governo a stimolare la domanda e la produzione, fornendo liquidità ai consumatori e alle imprese. La spesa pubblica stimola la spesa privata: è un trade-off chiaro e limpido. La spesa pubblica inietta ottimismo, migliora le aspettative e può aiutare veramente a far ripartire l'economia. Come? con la leva fiscale e la politica monetaria.
Se l'economia cresce, si riduce l'occupazione, cresce la ricchezza (e non solo quella, ma anche il risparmio, la speranza di vita, l'alimentazione, la salute, l'istruzione, il tempo libero, etcetera), crescono gli investimenti. L'inflazione aumenta, OK, così come i tassi d'interesse e il debito pubblico; ma non è il breve periodo il momento per preoccuparsi di ciò. Se occorrerà qualche misura di austerità ci si penserà tra dieci o quindici anni. Frattanto inflazione e debito pubblico potrebbero gradualmente rientrare una volta ripartita l'economia.
E invece in Europa che si fa? Guai a spendere. L'ortodossia dell'austerità è forte al punto da aver già sacrificato la Grecia.

E facciamo un altro piccolo passo indietro. Ottobre 2009: il momento zero della "crisi greca". Il nuovo Governo greco rivela che i governi precedenti avevano falsificato i dati di bilancio dei conti pubblici per far sì che la Grecia entrasse nell'Unione Economica e Monetaria Europea. La verità è che il deficit pubblico per il 2009 è il doppio delle stime precedenti, ca il 12%. PARENTESI Nel 2003 l'allora Presidente della Commissione Europea aveva chiesto un aumento dei controlli sui conti pubblici dei paesi membri, ma la Germania si oppose. Perché? perché la Germania è la prima a truccarli: è notorio infatti che mentre il bilancio federale chiude in pareggio o con basso deficit, i deficit miliardari dei sedici Lander rimangono confinati nei bilanci locali, a differenza ad es. di quanto accade con le nostre Regioni, i cui deficit vengono consolidati nel consuntivo nazionale CHIUSA PARENTESI.
Ma mentre il nuovo Governo greco si prepara a varare un piano di riforme fiscali, strutturali, etc... le agenzie di rating declassano il debito greco dichiarandolo "inaffidabile", classificandolo "spazzatura". Cosa comporta ciò? che tutti coloro che detenevano titoli del debito greco iniziano a venderli. E quelli che non li detenevano iniziano a venderli allo scoperto. Ciò fa schizzare in alto gli interessi sul debito greco - perché più un titolo è inaffidabile, più il rendimento cresce (per compensare il rischio dell'investitore/risparmiatore). Cosa sarebbe successo se la Grecia fosse stata uno Stato-nazione? la sua Banca centrale avrebbe acquistato i titoli immettendo liquidità. Perché non dovrebbe esistere un paradigma in cui il mercato finanziario domina sui Governi, imponendo (non stimolando) delle decisioni. Ma ciò non può accadere: l'hanno chiamata "crisi del debito sovrano", ma cosa c'è di sovrano se con l'entrata in Europa abbiamo ceduto la politica monetaria all'Europa e la democrazia è venuta meno allorché i Governi nazionali sono diventati schiavi delle agenzie di rating?
L'Europa cosa fa? non ci sta ovviamente a mutualizzare quello che era invero un "dramma europeo", trovando più facile far marcire la piccola nazione ellenica in quella che il Premio Nobel per l'Economia Paul Krugman definì "mostruosa follia", come a dire: "siamo Europa, ma se hai problemi economici te li risolvi da solo, non è affar nostro. Al massimo ti prestiamo dei soldi". Il piano di aiuti europeo alla Grecia è subordinato a un pesantissimo piano di austerità, che prevede tagli, tagli e ancora tagli. La Grecia ha perso. La solidarietà europea, messa alla sua prima prova, ha fallito. L'austerity imposta dall'Europa ad Atene ha depresso l'economia ellenica fino ad oggi: disoccupazione fino al 30%, stipendi e pensioni di poche centinaia di euro, limiti ai prelievi bancari, proteste popolari e scioperi, anche violenti... e la continua sensazione di essere sul ciglio del burrone... mentre BCE e FMI hanno incassato interessi miliardari.

L'Europa interculturale dell'Erasmus, l'Europa della libera circolazione di merci, persone e capitali, l'Europa dei giovani che sono nati già in Europa e non comprendono un'Italia senza Europa. Ma l'Europa è davvero capace di essere il terzo attore sulla scena internazionale? o piuttosto non è uscita dalla "guerra del coronavirus" schiacciata sotto violente recriminazioni, accuse e offese, dimenticandosi degli ultimi, dei lavoratori, dei disoccupati?
Con l'Eurogruppo di stanotte, la solidarietà europea ha fallito nuovamente il suo appuntamento con la storia. Olanda e Germania si sono dimostrati incapaci di ascoltare le richieste specifiche dei paesi dell'Europa meridionale per "non dare soldi alla Mafia". Qualcuno mi ha dato del nazionalista. Ma non è "nazionalismo" quello di un'Olanda che vota due mozioni parlamentari contrarie non solo agli Eurobond ma anche a qualunque attenuazione del MES? non è "nazionalismo" la famiglia disfunzionale di 27 nazioni che ragionano come 27 piccoli cuori separati, che non si fidano gli uni degli altri, piuttosto che come un unico grande cuore? non è stato "nazionalismo" l'aver spezzato le reni alla Grecia?
La verità è che un'Europa migliore di questa non esisterà mai. Perché i Grandi che avevano pensato l'Europa hanno lasciato lo spazio a piccoli o mediocri rappresentanti. Ci tendono il MES, il diabolico Fondo salva Stati. Con condizionalità "soft". Niente Troika a dettare come fare politica ma un monitoraggio "light" da parte dello stesso MES e della Commissione Europea, che verificheranno l'uso delle risorse per pagare le spese sanitarie, e non per aiutare imprese e famiglie. Perché "i Governi dell'Europa meridionale sarebbero irresponsabili, ed il blocco del Nord ha bisogno di garanzie". Niente interessi né limiti da rispettare su deficit e debito (per adesso) - il Patto di Stabilità e Crescita è al momento sospeso, ma la restituzione delle risorse prelevate in cinque/dieci anni. Infine, se l'Italia prendesse quei soldi, il debito che ne nascerebbe verso l'Europa sarebbe privilegiato rispetto al proprio debito pubblico (questo prevede oggi lo Statuto del MES) - debito pubblico la cui emissione sarà essenziale per finanziare gli aiuti ad imprese e famiglie, e per riavviare l'economia.
Perché, mentre nel cuore dell'Impero (negli States) si fa politica monetaria, in Europa si parla di prestiti? La lezione che vogliono insegnare crucchi e tulipani a noi italioti è: "ciascun paese è nudo e solo dinnanzi ai propri problemi".
Il Piano SURE (la cassa integrazione europea)? l'altra falsa risposta resasi necessaria alle critiche di eccessivo rigorismo dimostrato in sede di Consiglio UE, ma che invero è anch'esso un piano di prestiti a fronte di sottoscrizione di garanzie, e non un finanziamento a fondo perduto. "SURE", come "Sicuro": dateci sangue, lavoro e risparmi che noi vi facciamo l'elemosina!
SURE e MES sono un'ipoteca sul futuro che ci farà perdere tutte le nostre certezze perché, sostanziandosi in debito della peggior specie, aprirebbero la porta alla richiesta di pesanti sacrifici al nostro Paese e ad un ulteriore avvitamento dell'economia italiana, rischiando di non uscirne più. Il disegno è ormai chiaro: approfittare di questa crisi per "disciplinarci definitivamente" con due strumenti che saranno un formidabile guinzaglio. Cito un grande amico: "quello che [i tedeschi] non sono riusciti a fare con due guerre mondiali, lo stanno ottenendo con l'economia".
Ricordiamoci che il futuro è quello in cui cresciamo i nostri figli. Noi siamo già la "generazione decrescente" perché stiamo peggio dei nostri padri. I nostri figli staranno peggio di noi, ma a differenza nostra non potranno contare su di noi, come noi stiamo contando su nonni e genitori.
Se nella sua notte più profonda, nella crisi più grave di tutte dai tempi del Secondo Dopoguerra, nata come emergenza sanitaria e in poche settimane diventata emergenza economica e sociale al contempo, l'Europa fatica ancora una volta a dare un forte segnale di solidarietà, allora finirà con l'uscirne fortemente indebolita anche verso gli altri attori globali (States e Cina), e le persone a tutti i livelli di istruzione finiranno per chiedersi: allora a cosa serve l'Europa?

domenica 22 marzo 2020

Aprite gli occhi, disse John Titor

Quella che è stata definita ieri sera dal premier Giuseppe Conte e ribadita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella - ovvero un "un doloroso percorso" che sta rappresentando e rappresenterà "la crisi più difficile che il (Bel) Paese sta vivendo dal Secondo Dopoguerra" - è una condizione che molti non hanno ancora appieno compreso. Non sono qui a ribadire di "rimanere a casa per il bene proprio, dei propri familiari e della collettività tutta", né a sbraitare di "non assaltare i supermercati perché non ci stiamo avviando verso un'apocalisse nucleare o zombie"... No. Voglio solo far riflettere tutti, compresi i Governanti, che l'impatto sull'economia italiana sarà devastante, e - sebbene visibile già oggi con i prezzi dei beni primari che stanno registrando aumenti tra speculazioni e normalissimi rincari dovuti all'improvviso aumento della domanda - non risulterà chiaramente comprensibile se non dopo parecchi mesi dalla conclusione della pandemia (termine che invero è incerto e sembra spostarsi sempre più in avanti). Sarà probabilmente la più grave dal tempo dei nostri padri e quel che è più preoccupante è che non proviene dal crollo di Wall Street, dalla speculazione sui mutui subprime, dall'impennata del prezzo del greggio, dalla recessione di qualche grande nazione... No, deriva da un nemico invisibile che, oltre alla mortalità, sta già facendo esplodere tutti gli elementi delle precedenti crisi in un'unica colossale depressione globale.
Il D.L. "Cura Italia" con i suoi 25 miliardi di euro di stanziamento è praticamente una "manovra economica bis" tutta chiaramente finanziata in deficit. Interi settori sono praticamente fermi (alberghiero-turistico, ristorazione, cantieristica, sport...), e lo saranno per molto tempo ancora dopo la conclusione della pandemia. Altri stanno funzionando in forte contrazione (trasporti, servizi essenziali, editoria, commercio...). Dall'inizio dell'epidemia (quando cioé non era ancora pandemia) si è registrata ad oggi una perdita di 180 miliardi nella sola Piazza Affari. I punti di PIL che perderemo in Italia e in Europa viaggeranno a due cifre. Soldi, reali o nominali che siano, che richiederanno decenni per essere recuperati e frattanto genereranno disoccupazione, fame, insicurezza, incertezza e sfiducia.
Sì, per avere salva la vita accetteremo tutti di essere un po' più poveri, compresi i tanti sciacalli che stanno lucrando su mascherine e igienizzanti (chiaramente meno le mafie, che per decenni hanno investito in: smaltimento rifiuti, trasporti, pompe funebri, distribuzione di generi alimentari e di pulizia). Ma, Covid-19 dovrebbe far riflettere l'Italia sul ritardo dell'infrastruttura telematica (siamo al 19° posto in Europa, peggio di noi solo bulgari, rumeni e greci); sulle carenze di smart working ed e-learning (anche in questi l'Italia si colloca in fondo alla classifica europea, stante il fatto che solo il 58% delle aziende e delle scuole di ogni ordine e grado è risultata realmente pronta al balzo su larga scala da un giorno all'altro); sui tagli e le sforbiciate alla sanità fatti dai governi precedenti tra il 2010 e il 2019 pari a circa 37 miliardi di euro (cfr Report Osservatorio GIMBE n. 7/2019); sul fatto che oggi in Italia ci sono ben 3,7 milioni di lavoratori irregolari, con quasi l'80% del fenomeno concentrato al Meridione (cfr stime CGIA), invisibili al fisco ma anche agli ammortizzatori sociali; sul fatto che siamo la "generazione decrescente", ovvero la prima che sta peggio dei propri padri: precaria o mal pagata, scarsamente valorizzata seppure spesso più qualificata, senza prospettive di pensione e con meno prime case di proprietà; sul fatto che all'aumentata incertezza di arrivare a fine mese si è aggiunta la paura per il futuro dei nostri figli; sul fatto che l'ambiente merita più attenzione (la position paper della SIMA ha dimostrato una correlazione tra diffusione del virus e inquinamento da particolato atmosferico); sul fatto che nel grande condòminio che è la nostra società, si sono affacciati "nuovi eroi", ovvero medici ed infermieri, corrieri ed autotrasportatori, cassieri, forze dell'ordine e operatori ecologici, cioé tutti coloro che stanno sostenendo l'emergenza e portando avanti il "rallentato motore produttivo del Paese", e che sicuramente meriteranno in futuro maggiori riconoscimenti e tutele.
Questa situazione ci sia da monito per il futuro. Dobbiamo costruire un Paese più solido e forte, rivedendo le priorità del nostro welfare - in atto completamente sbilanciato verso l'assistenza agli anziani (che sono paradossalmente quelli che soffrono meno la dimensione economica di questa crisi), malattia e disabilità - a favore delle PMI e dei giovani (e non), in special modo quelli impiegati nel lavoro nero. Ma soprattutto dovrebbe far riflettere a tutti gli effetti devastanti che vent'anni di cessioni di sovranità hanno causato alla nostra nazione.
È indispensabile riprendere la sovranità monetaria e rimettere in circolo volumi di cartomoneta, a costo di generare inflazione (che peraltro, come la Curva di Phillips insegna, aiuterebbe a ridurre la disoccupazione). Certo, anche il reddito di cittadinanza andrebbe ripensato e rimodulato sulle nuove esigenze reali delle famiglie (il Presidente dell'INPS Pasquale Tridico ha proposto di trasformarlo in un reddito di base per tutti coloro che, a causa della pandemia, hanno perso il lavoro od hanno subito una sostanziale riduzione del reddito), ma la tanto sbandierata sospensione del Patto di stabilità europeo non è affatto sufficiente. Battere una moneta parallela, nazionale, circolante, a corso forzoso (la vecchia e buona Lira, che forse non sarà spendibile a New York, né a Parigi, né a Pechino ma sicuramente ci permetterà di tornare a galla, come fu il Rentenmark per la Germania negli anni che hanno preceduto la II Guerra Mondiale), ovvero emettere BTP da far assorbire alla Banca Centrale, invece ci aiuterebbero tanto ad immettere liquidità nel sistema, laddove i malefici aiuti da BCE e MES ci porterebbero soltanto ad una crisi sul debito pubblico e al rischio di future infrazioni europee. Perché BCE e MES non sono il "Piano Marshall" e, finita la tempesta, l'Italia sarà chiamata a rientrare dai prestiti ricevuti, rischiando di scivolare in una crisi di solvibilità senza fine.
E ancora un'altra piccola cosa su cui riflettere: la quarantena obbligata ci sta facendo apprezzare la voglia di cose lungamente ignorate. Noi, popolo dell'e-commerce, dello streaming, del KM 0, della socialità su Facebook, che per tanto tempo abbiamo cercato di avere amici e cose comodamente seduti sul divano di casa, ci stiamo rendendo conto all'improvviso che invece vorremmo andare al cinema, allo stadio, al teatro, al parco, frequentando persone vere. Eppure chi, all'indomani del coronavirus, tornerà al bar o in pizzeria a mescolarsi, come se niente fosse accaduto, con gli altri? Chissà per quanto invece terremo le distanze sociali e andremo a lavoro con guanti e mascherine! E ci saranno cambiamenti che potranno essere per sempre.
Covid-19 ha mostrato i limiti della politica occidentale, e forse anche della democrazia. È probabile che il mondo avrà una politica diversa, perché tutto ciò che valeva fino a metà febbraio già adesso sembra vecchissimo e fallimentare. La "guerra del coronavirus" (una guerra senza bombardamenti, ma pur sempre una guerra) ci renderà meno liberi, più schiavi e più attenti, e cambierà gli equilibri politico-economici a livello globale, generando nuovi assetti. Pechino ha messo in campo un piano eccezionale d'intervento mostrando al mondo intero di disporre del potere assoluto sui propri cittadini e sulle loro relazioni sociali, economiche e familiari; il potere comunista-capitalista ha mostrato una impressionante strategia di reazione che in Occidente non abbiamo (lo dimostra il menefreghismo imperante di chi non rispetta i precetti, in nome di una Costituzione che neanche conosce). La Cina, potenziale untore del pianeta, rischia di diventare seriamente il nuovo padrone del mondo. Forse anche la circolarità della vita ne risulterà stravolta: eravamo abituati alla primavera, alla fine dell'anno scolastico, alle vacanze estive, al rientro sui banchi in settembre, al Natale e alla ripartenza quando ricominciava tutto uguale. No. Il meccanismo si può inceppare. Ridefinendo la nostra percezione del tempo. E ne abbiamo preso atto tutti insieme, contemporaneamente.
Per un po' almeno.
Perché la memoria dell'uomo è sempre a breve termine. L'uomo non impara dai suoi errori e certamente tra tre o quattro decenni li ripeterà. L'esperienza non la utilizziamo per prevenire, cambiare, modificare gli eventi collettivi o individuali, e ben presto chi cercherà di rammentare verrà additato come colui che griderà "al lupo! al lupo!".
ONU e CEE sono nati all'indomani della II Guerra Mondiale onde consentire, in nome del pluralismo, non discriminazione, tolleranza, giustizia, solidarietà e uguaglianza, una risoluzione pacifica delle controversie internazionali e promuovere la collaborazione tra gli stati sovrani. Eppure gli aiuti ci arrivano da Cina, Russia e Cuba, laddove Francia e Germania, i padroni d'Europa - nata più per "smanie di grandezza che per reale solidarietà", avevano tentato di bloccare l'export di dispositivi di protezione, ed Olanda e Finlandia, il fronte del Nord, pretendono il MES alle condizionalità previste dai trattati. Come ho detto a qualcuno qualche giorno addietro, "da una crisi come quella che sta nascendo ci si può svegliare solo sotto una nuova dittatura, o un nuovo miracolo economico".
Premesso che Economia e Politica sono scienze umane non esatte, le risposte alle mie domande arriveranno tra qualche tempo. Magari farò ammenda perché ho sbagliato, esagerando. Magari avrò avuto ragione. Il tempo, solo il tempo ce lo dirà.