martedì 21 aprile 2020

Primum vivere, deinde philosophari


Le stime del PIL relative al primo semestre 2020 (peraltro non ancora conclusosi) sono di un calo [per il Bel Paese] di almeno del -15%. Un calo dell'attività economica e una crisi di intensità eccezionale, mai registrato nella storia della Repubblica italica. Anche durante la II Guerra Mondiale la gente stava barricata in casa, ma la scuola e il lavoro continuavano a funzionare con una certa regolarità. Dalla Guerra ci si è comunque risollevati discretamente in fretta, mentre un'epidemia comporta adattamenti, timori e conseguenze che possono trascinarsi per decenni.
È stato detto che la risposta per ripartire è indebitarsi. La priorità economico-finanziaria dei Governi è dunque garantire la sopravvivenza di famiglie ed aziende con politiche monetarie e fiscali espansive. Tutti concordano sulla necessità di aumentare i debiti pubblici e che questo non dovrebbe essere il momento per preoccuparsi delle eventuali future austerità della finanza pubblica che saranno necessarie una volta usciti dall'emergenza.
Ma forse, nella fase in cui gli Stati sono chiamati a rispondere è necessario "guardare" all'evoluzione dei debiti pubblici.
Secondo una elaborazione prospettica di LearnBonds.com, il rapporto debito/PIL del Giappone salirà nell'anno in corso al livello record del 279%, quello della Cina del 54%, gli States arriveranno al 131%, il Regno Unito al 96%, l'Italia al 156%, la Germania all'80%. Posto che il predetto debito è detenuto tanto da investitori che da risparmiatori (e tanto da operatori nazionali che esteri), più elevata è la dipendenza dai finanziamenti dei non residenti, maggiore è il rischio che la sfiducia scoraggi, in futuro, gli investimenti dall'estero. In questa graduatoria, il Giappone vive in un paradosso: "debito enorme, rischi minimi", perché - forza economica a parte - oltre il 90% è detenuto da soggetti residenti, mentre il più dipendente dall'estero è il Regno Unito (oltre l'80%). Gli States sono al 30% di dipendenza, la Cina al 16%. E, ricordiamocelo, tutti questi sono Stati-nazione in senso moderno a mente dei trattati di Westfalia. Godono cioé di tutti e quattro gli strumenti della politica economica, ossia politica monetaria, politica fiscale, politica valutaria e politica commerciale. Mentre l'Italia si attesta al 47% di debito estero su debito pubblico, sopravanzata dalla Germania (al 53%).
Nella fase di post-Guerra, iniezioni di liquidità e crescita della domanda, associate ad un elevato tasso di inflazione, sono stati i metodi tipici con cui i Governi hanno ridotto il peso del debito negli anni a venire. Ma questa soluzione, non è ipotizzabile per l'Eurozona, dove invece ortodossia vuole che gli aiuti arrivino solo tramite prestiti (redimibili dunque) e la BCE ha tra i propri compiti quello di garantire la stabilità dell'inflazione. Stante le predette regole, la riduzione dei debiti pubblici in prospettiva dovrà avvenire a livello di strette fiscali nazionali. Ecco perché non sono affatto folli le idee di:
- emettere obbligazioni comuni perpetue
- usare il cd. bazooka della BCE per immettere liquidità, a scapito della tanto demonizzata inflazione
- decidere la BCE stessa di cancellare parte di quei debiti, per alleggerire il fardello della crisi che verrà e dare ossigeno alla ripresa. E una chance alle generazioni future di un livello di qualità della vita accettabile.

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