sabato 16 febbraio 2013

Regno delle Due Sicilie, tante menzogne e poche verità

Adesso vi parlerò di un po' di storia, ma per farlo bisogna tornare indietro fino al 1861, quando il Regno delle Due Sicilie venne annesso al Regno di Sardegna. Per chi non lo sapesse, era detto "Regno delle Due Sicilie" perché derivava dall'unificazione del Regno di Napoli col Regno di Sicilia (dove però di fatto continuarono a comandare i principi cd. "Gattopardi") avvenuta nel 1816.

Personalmente, non hai nulla contro l'unità nazionale; non sei recessionista, eravamo (e siamo) italiani e sicuramente il nostro destino era di essere un'unica nazione. Sebbene di questi tempi è davvero faticoso e difficile sentire orgoglio e identità per questo stato... uno stato (l'Italia) di prezzolati e faziosi, dove si va avanti a suon di favoritismi e raccomandazioni, dove la meritocrazia non esiste e il popolo (a cui, ricordiamolo, in nome dell'art. 1 della Costituzione, appartiene la sovranità!) non ha ancora, e nonostante tutto, il coraggio di ribellarsi. Il problema è che l'Unità d'Italia è stata la rovina economica del Mezzogiorno. Noi (Sicilia, Calabria, Campania e Puglia) eravamo, nel 1861, in floridissime condizioni: l'unità ci ha perduti e i Savoia hanno trattato il Sud come una colonia, depauperandolo.
È provato, contrariamente all'opinione comune e a quanto si legge sui libri di scuola (che, si sa, non raccontano la verità così com'è, ma risentono di falsità ideologiche ed ingerenza politica: purtroppo la storia non è mai stata un campo di eccellenza per la cultura italiana!), che il Regno delle Due Sicilie era il più ricco degli stati italiani preunitari, era il 3° paese industrializzato d'Europa dopo Gran Bretagna e Francia e la 3ª potenza marina del mondo, godeva di una serie di primati a lvello mondiale, europeo e nazionale (v. più avanti nel post), e fino al 1861 non conosceva il fenomeno dell'emigrazione! Per carità: l'analfabetizzazione era dilagante, le condizioni di vita dei braccianti agricoli misere e la mentalità latifondista persistente, ma ciò era perfettamente in linea con quanto avveniva nel resto dell'Italia. Inoltre le mafie - che, com'è noto, derivano dalla storica figura dei gabelloti, campieri che, solitamente con maniere prepotenti, riscuotevano le "gabelle" (tributi), per conto dei padroni, assolvendo a funzioni che in altre zone d'Italia erano affidate a burocrati o alla classe borghese imprenditoriale, di fatto non esistevano ancora (come organizzazioni criminali). Ma, come ancora avviene oggi che i risparmi del Sud alimentano le industrie del Nord, 150 anni fa accadde che "Torino venne a mangiare a Napoli": i Savoia avevano bisogno dei soldi del Banco di Napoli, quindi usarono Garibaldi per ottenere quello che desideravano, destinando le nostre grandi ricchezze al risanamento delle finanze settentrionali, compromesse dalla sproporzionata spesa pubblica sostenuta dal Regno di Sardegna, e a nutrire le nascenti industrie di quell'area che successivamente verrà definita "Triangolo industriale".
Nel saggio Nord e Sud, Francesco Saverio Nitti rileva che, al momento dell'introduzione della lira, nel Regno delle Due Sicilie furono ritirate 443,3 milioni di monete di vario conio, pari al 65,7% di tutte le monete circolanti nella penisola! L'economista liberista Antonio Scialoja riconosce che questa quantità prodigiosa d'argento circolante fu coniata dalla Zecca di Napoli in seguito alla grande crescita delle esportazioni da noi avvenuta nell'800. Nitti inoltre stabilisce che, alla nascita dell'Italia unita, il regno borbonico era lo stato che portava il minor debito pubblico, la minor pressione fiscale e la più grande ricchezza pubblica: come a dire che le finanze del Regno delle Due Sicilie erano gestite col più assoluto rigore. Nitti così descrive la situazione finanziaria delle Due Sicilie nel 1861:
1. Le imposte erano inferiori a quelle degli altri stati preunitari;
2. I beni demaniali ed ecclesiastici rappresentavano una ricchezza che, nel loro insieme, superavano i beni, della stessa natura, posseduti dagli altri stati preunitari;
3. Il debito pubblico era di 4 volte inferiore a quello del Piemonte, e di molto inferiore a quello della Toscana;
4. Il numero degli impiegati statali era la metà che in Toscana e nel Regno di Sardegna (dunque un efficiente sistema burocratico);
5. La quantità di moneta circolante era, in cifra assoluta, 2 volte superiore a quella di tutti gli altri stati preunitari uniti insieme.
Nel regno borbonico, come del resto negli altri stati preunitari, l'agricoltura costituiva il settore predominante, e per ampliare la superficie coltivabile i borboni intrapresero importanti opere di bonifica nel reame. Grazie alle condizioni climatiche, nelle Due Sicilie, vi era una ricca produzione di grano, orzo, avena, patate e legumi. Importanti erano anche le coltivazioni di agrumi, olivo, vite, fico, ciliegio, castagno, nocciolo, noce e mandorlo. L'agricoltura aveva i suoi punti di forza nelle pianure campane e siciliane, dove venivano applicate altresì colture intensive (ortaggi, alberi da frutto, tabacco, canapa, lino e gelso). L'allevamento era prevalentemente ovino, equino e suino. La pesca era un'attività diffusa su tutte le coste ed assunse carattere industriale grazie alla costruzione di tonnare. Buona parte del prodotto derivante dal settore primario veniva esportato; in particolare, il vino siciliano alimentava un fiorente commercio con la Gran Bretagna.
Il settore industriale era molto avanzato per quei tempi e venne sostenuto dal governo borbonico con politiche protezionistiche e incoraggiamenti di capitali stranieri ad affluire nel regno per esservi investiti: esistevano stabilimenti, tanto nelle capitali che in varie zone dislocate sul territorio, di lavorazione delle pelli (guanti e scarpe) e di produzione di mobili; fabbriche di materiali da costruzione, cristalli e porcellane (nella Real Fabbrica della Porcellana di Capodimonte vennero ingaggiati artigiani sassoni); distillerie, industrie alimentari (olio, vino e pastifici) e tessili. La siderurgia e la metalmeccanica rappresentavano il ramo industriale più fiorente e le fabbriche d'armi esportavano anche all'estero, mentre in Sicilia rinomata era l'industria estrattiva mineraria che lavorava lo zolfo. La menzogna risorgimentale afferma che l'imprenditoria nelle province meridionali era esiguamente sviluppata rispetto al resto d'Italia, ma un recente studio della Banca d'Italia capovolge questa diffusa opinione riportando dati che dimostrano come l'indice di industrializzazione delle province campane e siciliane fosse allo stesso livello della Padania, ed in ogni caso superiore a quello della maggior parte delle province italiane preunitarie! Non esisteva inoltre alcun reale divario, in termini di reddito pro-capite, tra Nord e Sud; divario che invece (stranamente) incomincia a crearsi a partire dall'unità nazionale.
Ancora (e concludo): nel Regno delle Due Sicilie vennero realizzati e/o costruiti: la 1ª nave a vapore del Mediterraneo, il Ferdinando I, e il 1° transatlantico, il Sicilia, che collegava l'isola con le Americhe, la 1ª linea ferroviaria italiana, che al momento dell'Unità si estendeva da Salerno a Capua ed aveva in costruzione altre linee, il 1° ponte sospeso dell'Europa continentale, sul fiume Garigliano, la 1ª illuminazione a gas d'Italia ed il 1° esperimento di illuminazione elettrica delle strade, la 1ª rete d'acqua corrente cittadina, il 1° telegrafo elettrico italiano, il 1° osservatorio astronomico italiano ed il 1° osservatorio vulcanico e sismologico del mondo, e vennero iniziati gli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano. Napoli era, inoltre, la 1ª città d'Italia per numero di tipografie e pubblicazioni di giornali e riviste, e la 1ª per numero di conservatori musicali e teatri, e dalle sue Accademie militari uscivano i più preparati ufficiali d'artiglieria e del genio di tutta Italia; mentre a Salerno esisteva da tempo la più antica università d'Europa (la Scuola medica salernitana), dalla quale dipendevano università secondarie su tutto il regno, chiamate Reali Licei. Ricordo infine che a Caserta i borboni avevano costruito la Reggia di Caserta, dimora reale storica costruita sul modello della Reggia di Versailles (e alla quale non aveva nulla da invidiare), mentre più a Sud v'era la Certosa di Padula, grandioso monastero dedicato a San Lorenzo, entrambe proclamate dall'UNESCO "siti da tutelare in quanto patrimonio dell'umanità". Tra le riforme intraprese dai borboni vanno anche ricordate, la lotta ai privilegi ecclesiastici (ma il clero conservò il suo potere nelle campagne), e una legislazione sotto molteplici aspetti "moderna" (si respirava l'aria della Rivoluzione francese e si voleva tenere buono il popolo).

La questione nazionale esisteva e andava fatta, non lo neghi, ma fu fatta in modo sbagliato e noi meridionali ancora oggi ne paghiamo le conseguenze. Napoli e Palermo da capitali si sono trasformate in quello che tutti sappiamo. "Guai ai vinti", si dice, e noi siamo stati i vinti del Risorgimento. È importante tenere presente questo quadro: dopo l'Unità, con l'aumentare esponenziale delle imposte e la poco oculata gestione del Sud da parte dei Savoia, questo status quo economico è venuto a mancare. Da qui un crescente dissenso che sfocerà nel cd. fenomeno del "brigantaggio" prima, che assume anche proporzioni da guerra civile, e nella "grande emigrazione" verso America, Australia, Germania e Nord Italia stesso dopo... fino alla povertà e arretratezza odierne, e al dilagare delle mafie, probabilmente la causa principale della nostra difficoltà economico-sociale! Di quell'epoca intensa, culturalmente ed economicamente, restano solo il ricordo e i reperti storici...
Quando Garibaldi (e quelli che lo seguirono/precedettero, da Cavour a Mazzini, a Mameli) iniziò a realizzare la sua impresa (animata da nobilissime intenzioni, intendiamoci!), intervennero prontamente i Savoia, consci dei vantaggi e che a livello internazionale non vi sarebbero state reazioni: Garibaldi aveva altresì l'appoggio di Gran Bretagna, la massima potenza dell'epoca, poteva contare sul tradimento di alcuni generali napoletani, e sulle mafie, che da quel momento si emanciparono (una curiosità: pare che il termine "mafia", divenuto d'uso comune dal 1865, sia l'acronimo di "Mazzini Autorizza Furti Incendi Avvelenamenti": antropologicamente dunque, almeno una parte del fenomeno, è nato con finalità anti-unitarie). Precisiamo che il governo borbonico era un regno di diritto e legittimamente insediato dal 1734.

E allora che si fa? Tu all'Italia che affonda proprio non ci stai! Alla "Repubblica delle banane"!
Noi meridionali siamo ormai diventati talmente fancazzisti e strafottenti, che appena qualcuno alza la testa c'è subito un altro che gli dà sulle mani: "stai buono lì e non farti venire strane idee", o peggio "fatti i cazzi toi!" (Cetto La Qualunque docet). Già è difficile che qualcuno ti sostenga nelle tue battaglie, vigendo la politica dell'Armiamoci e partite! Oggi un novello Garibaldi che, con mille ragazzi, guidi una rivolta contro questo stato corrotto e scarsamente rappresentato, verrebbe liquidato come terrorista, dimenticandoci tutti che le più grandi conquiste dell'uomo (dalla democrazia all'uguaglianza, dalla libertà di voto alla parità di diritti tra uomo e donna, dalla secessione americana alle unità di tante nazioni!) sono state ottenute proprio con rivoluzioni e rivolte!
Mi viene in mente una frase di Indro Montanelli: "Combattete per quello in cui credete. Perderete tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne: quella che s'ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio. E lo specchio non vi giudica dai successi che avrete ottenuto nella corsa al denaro, al potere, agli onori; ma soltanto dalla Causa che avrete servito".
Ma "io me ne frego, si fa ciò che si ha da fare!".

Pubblicato originariamente su fictionblog lì 18-giu-2011

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