venerdì 3 maggio 2013

Il segreto di San Nicola. La vera storia di Babbo Natale

Con quasi 20 anni di ritardo hai letto finalmente il Gigante #1 di Martin Mystère... l'osannatissimo Il segreto di San Nicola, da molti ritenuta la storia migliore e più rappresentativa del Detective dell'Impossibile di Mamma Bonelli. E non hai fatto fatica a crederlo, visto che Alfredo Castelli, in una delle sue migliori performance, imbastisce una trama che intreccia la figura di San Nicola, patrono di Bari e personaggio alla base del mito di Babbo Natale, con alcuni temi cruciali del mondo di Martin Mystère: il Santo Graal, gli Uomini in Nero, la Base di Altrove, i nazisti, gli extra-terrestri, Re Artù, la spada di Excalibur e la Lancia di Longino!

240 pagg. di "fuori catalogo", nelle quali hai trovato il meglio di Mystère: dal soprannaturale alla leggenda, dalla dissertazione storica all'archeologia misteriosa (con divertenti cenni ad Indiana Jones e Lawrence d'Arabia!), confezionato con gli splendidi disegni in B/N di Alessandrini!

Dicevi: una trama così intricata ed avvincente, che lì per lì hai pensato peccasse di eccessiva fantasia. E invece, documentandoti on the Net, ti scopri che la realtà "è tutta da scroprire e che spesso supera la fantasia".
San Nicola (o Nicolò) di Bari fu Vescovo di Myra (Turchia) fra il 270 e il 343 d.C., eletto da laico. È venerato sia nella Chiesa Cattolica che in quella Ortodossa, ma è noto anche al di fuori del mondo cristiano, avendo dato origine al mito di Santa Claus (St. Nicholas) ossia Babbo Natale. È il patrono di marinai, mercanti, bambini, prostitute, farmacisti e detenuti, e copatrono di Bari assieme a San Sabino. La sua "trasformazione" in Babbo Natale deriva dalla sua storica generosità e carità verso il prossimo (era erede di un ricco patrimonio e amava donare le proprie ricchezze ai poveri), che fecero sì che il Santo venisse identificato con l'immagine di "apportatore di doni".
Tanti sono gli episodi "miracolosi" della vita di San Nicola, la cui grandezza è famosa dall'Asia minore alla Groenlandia, alla Russia, fino a Canterbury in Inghilterra:
  • Una prima volta, il Santo venne a sapere che tre ragazze erano state destinate dal padre, finito in miseria, ad essere vendute come prostitute. Per aiutare la famiglia il Vescovo raccolse in un panno una notevole somma di monete d'oro e le gettò di nascosto, attraverso la finestra, nella casa dell'uomo, salvando le fanciulle dal loro sventurato destino;
  • Un'altra volta, il Vescovo, trovandosi a passare in una locanda e sapendo che l'oste aveva ucciso e fatto a pezzi tre fratelli, conservati in salamoia in una tinozza, resuscitò i piccoli e aiutò l'uomo malvagio a cambiare il suo modo di vivere;
  • In un'altra occasione, durante una carestia che aveva colpito Myra, Nicola fece distribuire al popolo parte del grano contenuto nelle stive di una nave; ma quando il grano fu pesato si vide che non era affatto diminuito. Il grano ricevuto in dono bastò alla gente per due anni;
  • Quando una nave al largo del Mar Egeo fu sorpresa da una tempesta e i marinai (invero abituati a ruberie e violenze), trovatisi in pericolo di morte, invocarono l'aiuto dei Signore, fu tanta la fede nella loro preghiera, che il Vescovo apparve loro e li aiutò a governare l'imbarcazione. Sbarcati sani e salvi, gli uomini di mare proseguirono la loro vita sulla via della virtù e del bene;
  • E quando il Santo morì, pare che dai suoi resti sia scaturito - senza sosta, per molti degli anni a venire - un liquido profumato, la manna, alla quale i fedeli attribuirono sin da subito proprietà miracolose e taumaturgiche. La manna veniva prelevata annualmente con ampolle di cristallo artisticamente dipinte, chiamate il "Vetro di San Nicola".
Tornando alla vita del Santo, dopo la morte dello stesso, quando nel 1087 Myra cadde in mano musulmana durante la Prima Crociata, Bari e Venezia, che erano dirette rivali nei traffici marittimi con l'Oriente, entrarono in competizione per il trafugamento in Occidente delle reliquie di San Nicola. Una spedizione barese di 47 o 62 marinai (le cronache non sono precise sul numero) su tre caravelle, raggiunse Myra e si impadronì di poco più della metà dello scheletro del Vescovo. Secondo la leggenda, giunte a Bari, le reliquie furono depositate là dove i buoi che trainavano il carico si fermarono. In quel punto fu eretta - con uno stile bizantino, longobardo e romanico ad un tempo - una nuova chiesa, l'attuale Basilica di San Nicola, consacrata due anni dopo da Papa Urbano II.
Le ossa (parziali) del Santo sono conservate in un sarcofago in cemento armato sito nella cripta nella Basilica. La non completezza dello scheletro si spiega col fatto che i baresi dovettero agire in fretta per timore dell'arrivo dei Saraceni. Il resto dello scheletro è in mano ai veneziani. Nella cripta si trovano altresì: moltissime ampolle con la manna, la famosa colonna detta "miracolosa", perché, secondo la leggenda, era stata trovata nel Tevere da San Nicola e portata a Myra per decorare la sua chiesa ma giunse inspiegabilmente a Bari nel 1098, galleggiando sul mare; dipinti e lunette raffiguranti le fasi salienti della vita del Santo; i resti del barile di legno in cui le spoglie del Santo avevano viaggiato da Myra a Bari; e, fino a non molto tempo fa, anche il tesoro di San Nicola, oggi custodito nel "Museo Nicolaiano" (il flusso secolare dei pellegrini ha permesso infatti, col tempo, la costituzione di un vero e proprio tesoro, composto dai doni votivi dei fedeli, sovente in materiali preziosi, tra cui molti "calici").
Dicevi come Castelli, nel suo romanzo grafico, abbia intrecciato la figura di San Nicola con la mitologia arturiana.
Leggende narrano infatti che la Basilica sarebbe stata costruita anche per celare il Santo Graal, il calice dal quale Cristo bevve nel giorno dell'Ultima Cena con gli Apostoli. A fondamento di questa leggenda, non va dimenticato che Bari si trovava, all'epoca, in un incrocio di strade che discendevano da tutta l'Europa cristiana, ed era uno snodo fondamentale di partenze e arrivi per l'Europa orientale: era il porto dal quale crociati e gente di ventura partivano per la Terrasanta; una città ai margini dell'Impero, ma nello stesso tempo pregna di sacralità. La Basilica Nicolaiana stessa è commistione di molte religioni e culture apparentemente slegate tra loro, unione tra il mondo cristiano occidentale, il mondo esoterico dei templari, e quello arabo orientale. È quindi plausibile che, se il Santo Graal sia realmente esistito, possa essere almeno transitato da Bari quando Percival il Gallese e Galahad lo recuperarono dal Re Pescatore per riportarlo nella terra da cui proveniva, Sarraz. D'altronde, la leggenda che circonda il recupero delle reliquie del Santo, vorrebbe che la traslazione delle ossa non fosse altro che una copertura, voluta dal Papa Gregorio VII per il recupero di "qualcosa" di molto più prezioso.
Nella Basilica si trovano tracce sorprendenti del mito di Re Artù: il bassorilievo dell'archivolto della Porta dei Leoni rappresenta un drappello di cavalieri normanni guidati da un Rex Arturius. Il fatto è che la rappresentazione è datata circa un secolo prima della diffusione in Italia della "Materia di Bretagna". Ma sappiamo anche che la simbologia della "spada nella roccia" si lega al mito del Santo Graal. Ora, è notorio che per molti studiosi il Santo Graal non era una coppa (piuttosto la discendenza di Gesù o la Sacra Sindone o un semplice simbolo). Ebbene, per alcuni di essi si tratterebbe di una "pietra" caduta dal cielo, di origine meteoritica...
Tutto torna... Il cerchio si chiude.
Nella Basilica sarebbe anche conservata una riproduzione della Lancia di Longino (la Heilige Lance), un'altra importante reliquia della Cristianità. Si tratta della lancia che il centurione Longino usò per trafiggere il costato di Gesù sulla Croce. E il sangue di quella ferita sarebbe stato raccolto da Giuseppe d'Arimatea in una coppa, forse la stessa dell'Ultima Cena. Secondo molti studiosi, il mito della Lancia di Longino (della quale, durante il Medioevo, iniziarono a circolare almeno quattro riproduzioni) avrebbe alimentato i numerosi miti sulle spade magiche e mistiche (Excalibur, Durlindana, Gioiosa, ecc...) e sulle lance invincibili (di Longino, di San Maurizio, ecc...).
Sul punto, Castelli immagina che Excalibur, alla fine, sia stata riforgiata in una lancia, nella quale sarebbe stato incastonato uno dei chiodi della crocifissione di Gesù.
A sostegno della fantasiosa idea di Castelli che anche l'Excalibur - la mitica spada estratta dalla roccia da Re Artù, consegnata alla sua morte alla Dama del Lago - si trovi in loco, più precisamente in Castel del Monte (che Castelli immagina edificato dall'Imperatore Federico II per replicare Camelot in terra di Puglia!), va detto che la vera funzione dell'immaginifico castello a pianta ottagonale è tuttora sconosciuta. Non è un "castello" vero e proprio, poiché privo di elementi tipicamente militari (leggi: assenza di fossati, feritoie troppo strette e posizione non-strategica). Alcuni elementi della sua costruzione, inoltre, fanno scartare questa ipotesi: le scale a chiocciola disposte in senso antiorario, avrebbero messo in forte svantaggio gli occupanti contro eventuali assalitori, perché i primi avrebbero dovuto impugnare l'arma con la sinistra. Anche l'ipotesi che fosse una "residenza di caccia" è discutibile, a motivo della presenza di fini ornamenti e dall'assenza di stalle. A causa dei forti simbolismi di cui è intriso e della costante geometria, è stato perciò ipotizzato che la costruzione fosse piuttosto un tempio, o un luogo ove dedicarsi indisturbati allo studio delle Scienze.
Infine, giusto per completezza sui misteri che circondano la Basilica di San Nicola, ivi è conservata una Spina della corona del Cristo, mentre sull'Altare del Patrocinio esiste una misteriosa iscrizione su una lamina d'argento, nota come il "Crittogramma di San Nicola": una sequenza di 622 lettere che, in apparenza, non formano alcuna parola... ma che Martin Mystère, magicamente, risolve. Bella lì!

Dici: e gli extra-terrestri?
Orbene, all'inizio della storia, all'alba dei tempi, alcuni alieni scendono sulla Terra, tra gli uomini-scimmia, per nascondere quattro talismani, che millenni dopo verranno ritrovati da Re Artù, Mosé, Longino e Gesù.
Secondo la tradizione celtica, alcune creature celesti, i Túatha dé Danaan, avrebbero regnato in tempi antichissimi e, prima di ritirarsi per sempre, avrebbero donato ai propri sudditi quattro potenti amuleti in grado di trasmettere la "conoscenza": la Pietra di Fal (che emetteva un grido se veniva calpestata da un legittimo Re), la Spada di Núada (che non perdeva mai un combattimento), il Calderone di Dagda (capace di sfamare un numero illimitato di persone senza svuotarsi mai) e la Lancia di Lúgh (che non mancava mai il suo bersaglio). Essi sarebbero divenuti l'archetipo rispettivamente di: la Pietra Nera della Ka'ba, le spade incantate, il Santo Graal e le lance del destino.

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