mercoledì 13 settembre 2023

Brevissima storia della narrativa popolare

Per “narrativa popolare” s’intende il patrimonio narrativo in uso presso le classi popolari. Storicamente il “popolino” è lo strato più vasto ma meno abbiente e culturalmente meno evoluto di una popolazione, come il proletariato e la borghesia impiegatizia. Il suo bisogno però di alfabetizzarsi e distrarsi ha portato nel tempo al nascere e al diffondersi di vari tipi di media, dai teatrini itineranti al radio drama, dal cinema alla televisione, ma prima di tutti, a vari tipi di pubblicazione periodica tutti caratterizzati da narrazione a puntate, basso costo, e lettura veloce usa-e-getta, poiché destinati ad essere consumati nel non molto tempo libero dei lavoratori. Il termine “narrativa” poi, serve volgarmente ad individuare un genere scritto in prosa poco impegnato, differenziandolo dalla “letteratura” che invece individua qualsiasi creazione scritta (anche in versi o in forma di saggio) di valore artistico superiore o duraturo. Nondimeno, non può tacersi che anche la narrativa è “una forma letteraria”.

I «penny dreadful» (traducibile come «spaventi da un penny») furono tra i primissimi esempi di questo tipo di pubblicazione, essendosi diffusi nel Regno Unito in epoca vittoriana, a cavallo della Rivoluzione industriale. Chiamati così perché caratterizzate dal basso costo, un penny perlappunto, proponevano narrazioni a puntate di tipo gotico e horror. Il costo però rifletteva anche la scarsa qualità: erano infatti contraddistinte da toni sensazionalistici e scrittura sgrammaticata. Tra i penny dreadful più celebri ricordiamo l’anonimo Sweeney Todd che ha per protagonista uno dei primi serial killer della letteratura, Wagner, the wehr-wolf di George W.M. Reynolds, e Varney il vampiro, o il banchetto di sangue di James Malcolm Rymer e Thomas Preskett Prest, lavoro piuttosto disomogeneo e storicamente confuso di smisurata lunghezza [ben 220 capitoli! di recente pubblicata anche in italico idioma dalla defunta Gargoyle Books in 3 voll.] a cui si devono molti dei luoghi comuni e stereotipi oggi diremmo tipici nella letteratura vampririca. Varney eserciterà infatti una grande influenza sulla successiva letteratura sui vampiri, in particolare sul Dracula di Bram Stoker: differenziandosi dalla figura folkloristica del nosferatu, Varney ha zanne e lascia due segni distintivi sul collo delle vittime, ha il potere di ipnotizzare ed ha una forza sovrumana, è in grado di spostarsi anche alla luce del giorno e non è terrorizzato dalla croce o dall’aglio, detesta la propria condizione e può essere ucciso con un paletto di frassino (sebbene “morirà” gettandosi nel Vesuvio).
Piccola parentesi:
le pubblicazioni popolari come i penny dreadful e le successive pulp magazine, molto devono al «pamphlet». Il pamphlet (termine francese traducibile con “libello” per le sue agili dimensioni), era una breve pubblicazione - chiaramente indirizzata ad un ceto colto e alfabetizzato - che ebbe larga diffusione un po’ ovunque sin dall’antichità, nella Roma imperiale o anche nel Medioevo, dall’intento polemico, satirico o scabroso, ovvero utilizzati per diffondere idee personali in materie politiche o religiose.


Oltreoceano, corrispondenti ai penny dreadful, furono le «dime novel». Il nome fa riferimento al basso costo, oltre che alla scadente qualità che li caratterizzava; dime novel è infatti traducibile con «Romanzetto da quattro soldi», corrispondendo un dime a 10 cents. Le dime novel traevano ispirazione direttamente dal mito del vecchio & selvaggio west, per cui erano ambientate nell’era dei pionieri, della Rivoluzione americana o della Guerra civile, e vedevano protagonisti personaggi come Kit Carson e Buffalo Bill. Verso la fine del XIX sec. i cowboy solitari lasciarono il posto a spie e poliziotti impegnati a combattere il crimine nelle città; tra questi popolare fu il personaggio di Nick Carter: l’eredità delle dime novel si stava pian piano spostando verso quelle altre ambientazioni che avrebbero debuttato sulle riviste.

Nello stesso periodo in Francia si diffusero i «feuilleton» (letteralmente diminutivo di feuillet, foglio): accadde che nel 1831 Honoré de Balzac decise di anticipare sui giornali - nello spazio dedicato alla critica letteraria - alcuni capitoli del romanzo che stava scrivendo, ritenendolo un buon mezzo per creare l’attesa nel pubblico prima dell’uscita dell’opera completa in formato libro. L’iniziativa fu un successone e in brevissimo tempo, a puntate su quotidiani e riviste, apparvero alcuni dei più grandi classici francesi, da I tre moschettieri e Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas a Madame Bovary di Gustave Flaubert, da Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne a Il fantasma dell’opera di Gaston Leroux, da I misteri di Parigi di Eugène Sue a Il Capitan Fracassa di Théophile Gautier, a I miserabili di Victor Hugo. Un romanzo pubblicato secondo queste modalità, dilatando la sua storia nel tempo, aveva la necessità di creare suspense nei lettori e fidelizzarli, per questi motivi i feuilleton, dal punto di vista strutturale e contenutistico, condividevano alcune caratteristiche tipiche: narrazione ricca di vicende intricate, di personaggi (sovente contrapposti nettamente in buoni e cattivi) e di colpi di scena improvvisi. La formula ben presto prese piede anche all’estero, basti pensare agli inglesi R.L. Stevenson, che pubblicò a puntate La freccia nera, James Joyce, che pubblicò Ulisse, Charles Dickens, che pubblicò Oliver Twist e David Copperfield, Joseph Conrad, che pubblicò Cuore di tenebra, H.G. Wells, che pubblicò La macchina del tempo e La guerra dei mondi, e Arthur Conan Doyle, che pubblicò Il mastino dei Baskerville. O ai russi Tolstoj (Guerra e pace e Anna Karenina) e Dostoevskij (Delitto e castigo).

Anche nel Bel Paese «il romanzo d’appendice» (com’era chiamato nello Stivale) ebbe ampia diffusione: nacquero riviste contenitore apposite, come La Domenica del Corriere, La Tribuna illustrata e Il Giornale illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare, che, fino al Secondo conflitto mondiale e all’avvento della televisione, allietarono le domeniche degli italiani alternando avventure e resoconti di viaggi e avvenimenti dell’esplorazione geografica con racconti d’avventura e fantastici, padrone indiscusso dei quali fu senz’altro Emilio Salgàri.

A partire dagli inizi del Novecento, queste formule d’intrattenimento letterario da un lato furono pian piano sostituite da media più immediati, quali il fotoromanzo e i fumetti, dall’altro lato, la crisi economia che seguì la Grande depressione, spinse alla nascita delle «pulp magazine».

Le pulp magazine erano (ancora una volta, tornando alle origini) riviste di prezzo economico, ossia dai dieci cents al quarto di dollaro. Il nome “pulp” derivava dalla carta con cui venivano stampate, ottenuta dalla polpa dell’albero e quindi di qualità piuttosto scadente. Oltre ad essere più ruvida e spessa, aveva anche il difetto di ingiallire in breve tempo. Le copertine, poi, erano famose per i disegni di ragazze seminude, in genere in attesa di essere salvate dall’eroe di turno. Le pulp magazine infatti contenevano racconti fantastici o romanzi a puntate, gangster-story o avventure di personaggi eroici come Doc Savage, Conan il barbaro, Tarzan, John Carter di Marte e Zorro. Buona parte della prima metà del Novecento fu tutto un fiorire di pulp magazine, da Argosy ad Astounding, da Galaxy ad Amazing Stories, da Weird Tales a Wonder Stories... praticamente tutta la narrativa popolare passava dalle riviste: il poliziesco, il romance, l’horror, il fantasy, la fantascienza, l’avventura e il racconto esotico, e molti famosi autori oggi di culto hanno debuttato sulle riviste pulp (Poul Anderson, Isaac Asimov, Ray Bradbury, H.P. Lovecraft, Robert E. Howard, Jack Vance, Jack Williamson, C.A. Smith, Henry Kuttner, Arthur C. Clarke, Philip K. Dick, Frank Herbert, L. Ron Hubbard, Seabury Quinn, Talbot Mundy, Edgar Rice Burroughs, Leigh Brackett, Raymond Chandler, Robert Heinlein, Fritz Leiber, Robert Bloch, Theodore Sturgeon, Manly Wade Wellman, etcetera etcetera etcetera) tantoché oggi, col termine “pulp” tende ad intendersi quel genere letterario avventuroso, ricco di suspense, colpi di scena e crimini, spesso con protagonisti mascherati e donne sensuali che caratterizzò il periodo 1938-1955.
Laddove le pulp magazine erano destinate ad un pubblico adulto, i fumetti (o meglio, i «comics») erano tradizionalmente destinati a bambini e adolescenti. Fumetti che avevano per protagonisti personaggi come Topolino, Popeye, Felix il Gatto, Dick Tracy, Buck Rogers e Flash Gordon invero esistevano già.

Ma la crisi del ’29 che seguì dal crollo della Borsa di Wall Street, causando nei soli States, nel brevissimo volgere di pochi anni, 15 milioni di disoccupati su una popolazione di poco più di 110 milioni di abitanti, stimolò fortemente questo media. La forte disoccupazione, infatti, unita al protezionismo, al proibizionismo, alle contraddizioni del New Deal di Roosevelt e alle tensioni internazionali tra le due Guerre mondiali, stimolò la nascita del fumetto supereoistico. I giovani uscivano da decenni di sforzi e privazioni e abbisognavano di entusiasmo, nuovi modelli ed eroi che possedessero spirito di rinascita e vigoria! È così che nel 1933, prima sulle strisce domenicali e poi su Action Comics, esordì Superman ad opera dei due immigrati ebrei Jerry Siegel e Joe Shuster. Per la cronaca, Superman, da buon “ebreo” è ispirato al mito di Mosè: come Mosè è “straniero in terra straniera” e possiede un nome [Kal-El] dall’assonanza divina. Uno dei suoi poteri, poi, ossia l’essere invulnerabile ai proiettili, va cercato nel fatto che il padre di Siegel era morto sparato. Il resto è storia recente, da Batman a Wonder Woman, dall’Uomo Ragno a Capitan America, il fumetto supereroistico americano ha sempre riflesso narrazioni, desideri, problematiche e morali del tempo (dalla Grande Depressione alla II Guerra Mondiale e alla minaccia nazista, dallo spettro dell’Apocalisse nucleare all’ombra lunga del nemico comunista, dal femminismo al conformismo degli Anni ’50).

Seconda parentesi: i fotoromanzi sono un’invenzione tutta nostrana; dopo essere apparsi a partire dal Secondo dopoguerra nella penisola su giornali come Grand Hotel e Sogno, si diffusero in Francia, Spagna, Grecia e nei Paesi ispano-americani. Il racconto è costituito da fotografie scattate su un set similcinematografico con attori veri, commentate da didascalie e battute di dialogo similfumetto. Chiaramente di basso livello contenutistico e rivolto principalmente a donne e ragazze, le eroine erano sempre povere e romantiche, ma coraggiose e decise, e le storie sempre a sfondo sentimentale.
Ultima parentesi: col tempo il fumetto si è diffuso in tutto il globo, abbracciando tutte le tematiche e i generi possibili (erotico compreso), e adattandosi alle peculiarità storico-culturali dei vari paesi e a tutte le fasce d’età, dal fumetto argentino come il capolavoro L’Eternauta, al fumetto franco-belga (es. I Puffi, Asterix e Lucky Luke), dal bonellide italiano, ai manga.
Oggi i romanzi non vengono più pubblicati a puntate né venduti nelle edicole o nei candy shop, ma direttamente in volume e in libreria. Echi delle riviste pulp contenitore e delle pubblicazioni a basso costo sopravvivono ancora oggi, si pensi ad Urania, Segretissimo e Il Giallo Mondadori [longevissime collane da edicola rispettivamente di letteratura fantascientifica, noir e giallo edite da Mondadori], alle riviste libro Providence Tales e Nova SF (che alternano nuove proposte a ristampe), o a personaggi come Perry Rhodan, unico eroe pulp seriale sopravvissuto fino ai nostri giorni che in Germania, quasi ininterrottamente dal 1961, conta oltre 2.700 avventure.
Il fumetto, dal canto suo, e fatta eccezione per le sporadiche graphic novel o le miniserie, negli ultimi decenni ha perso la sua valenza di denuncia sociale e citazioni colte per abbracciare una narrazione sempre più insulsa e politically correct, fatta di enormi splash pages e dialoghi banali. Ha poi abbandonato il suo essere media economico (i fumetti della Golden e della Silver Age erano, al pari delle pulp magazine, stampati su carta di scarsa qualità e destinati ad essere letti e cestinati) diventando veri e propri beni di lusso con tutte le loro edizioni cartonate, assolute e limitate.
L’intrattenimento e la narrazione seriale oggi sono appannaggio quasi esclusivo delle serie TV che tanto abbondano sulle piattaforme di streaming, eredi dei telefilm degli Anni ’80 e ’90 che, grazie ad una maggiore autorialità, budget di livello cinematografico e trama orizzontale, consentono un approfondimento psicologico dei personaggi e della trama, e un’immersività in un “mondo altro” che ad una pellicola cinematografica una tantum non è possibile.

Nessun commento:

Posta un commento