Ieri sera, con la tua figliola, sei andato a vedere il balletto dello Schiaccianoci al Teatro Cilea messo in scena dall’acclamata e prestigiosa compagnia Russian Classical Ballet, composta da un cast di stelle del balletto russo.
Basato su Storia di uno schiaccianoci, riscrittura di Alexandre Dumas meno cruenta dell’originale Schiaccianoci e il Re dei topi di E.T.A. Hoffmann, il balletto, su coreografia del grande Marius Petipa del 1891 e musiche di Pëtr Il'ič Čajkovskij, è l’immaginifica e curatissima rappresentazione - ambientata durante la vigilia di Natale degli inizi del XIX sec. - della storia di una ragazza che sogna un principe (che tale si trasforma da uno schiaccianoci a forma di soldatino), in una selvaggia battaglia contro il Re dei topi, che la porterà fino al Regno dei Dolci.
Il balletto, inutile dirlo, è un grandissimo classico e immortali sono le composizioni del genio musicale di Čajkovskij (basti pensare ai passaggi melodici della Danza dello zucchero fatato o al celebre Valzer dei fiori. Ma mentre lo guardavi però non riuscivi a non pensare al ricorrente motivo, in tante storie, dei “giocattoli che prendono vita”, in anni recenti consacrato ad un’immensa fama grazie ai film di Toy Story.
Il tema in effetti, nasce proprio nel XIX sec. in parallelo alla crescita della produzione artigianale e poi industriale di giocattoli, divenendo in brevissimo parte dell’immaginario borghese. Basti pensare appunto ai soldatini che prendono vita nel già citato Schiaccianoci e il Re dei topi (1816) di E.T.A. Hoffmann e nel Soldatino di stagno di Hans Christian Andersen (1838), o ai burattini del Pinocchio di Collodi (1881).
Nel XX sec. a seguito dell’invenzione del cinematografo e dell’animazione, il motivo viene subito recuperato dal cinema e, dopo ottant’anni di tentativi più o meno riusciti da parte di Disney, Warner e Metro-Goldwyn-Mayer, arriviamo al mondo dei giocattoli magistralmente animato in Toy Story, istant cult del 1995.
BONUS: Sega un anno prima dell’uscita nei cinema di Toy Story, rilasciò su Sega Saturn il bellissimo ma sfortunatissimo videogioco Clockwork Knight, un classico gioco di piattaforme con un protagonista accattivante soldatino a molla scaraventato nella classica avventura del salvataggio della bambola della Principessa delle fate.
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domenica 19 gennaio 2025
lunedì 6 gennaio 2025
Storia dei Re Magi
L’episodio evangelico dei tre Re Magi è noto a tutti e viene celebrato il giorno dell’Epifania.
Ma cosa rappresentano storicamente i Magi? Sono realmente esistiti? Chi erano e da dove venivano?
Nella tradizione cristiana i Magi (singolare magio) erano dei saggi esperti in varie discipline (astrologia, astronomia, filosofia, etcetera) che, secondo il Vangelo di Matteo, «seguendo la stella cometa» giunsero da Oriente per adorare il Bambino Gesù appena nato. Dal Vangelo secondo Luca sappiamo che Giuseppe, Maria e Gesù rimasero a Betlemme 40 giorni (in contrasto con la tradizione liturgica che lascia solo 12 giorni fra Natale ed Epifania... ma in effetti sappiamo che Gesù l’Esseno nacque tra il 7 e il 6 a.C. tra marzo ed ottobre). Non sappiamo pertanto se la visita dei Magi sia avvenuta a Betlemme (come da tradizione), Nazareth o Gerusalemme. La vicenda ha comunque avuto una straordinaria fortuna artistica nelle rappresentazioni della Natività e del presepe, come anche nelle altre arti, dai mosaici al cinema.
Il passo di Matteo descrive i Magi in maniera piuttosto scarna e non ne fornisce il numero esatto (fa riferimento ad un generico «alcuni Magi»), ma la tradizione più diffusa - proveniente principalmente dai Vangeli apocrifi, basandosi sul fatto che vengono citati tre doni (oro, simbolo di regalità, incenso, simbolo di divinità e mirra, un unguento), parla di tre uomini che rispondevano ai nomi di Baldassarre, Melchiorre e Gaspare. Nel tardo Medioevo venne aggiunto il particolare che giungessero dalle tre parti del mondo allora conosciuto: Africa, Persia e Arabia, e la successiva tradizione bizantina li raffigurò con le tre diverse età dell’uomo: il giovane (moro), l’uomo maturo e l’anziano. La regalità dei Magi non è attestata nelle fonti canoniche cristiane, tuttavia col tempo, la raffigurazione dei loro berretti andò modificandosi fino ad assumere «l’aspetto di una corona».
Esistono tradizioni alternative che menzionano fino a dodici Magi e una leggenda che parla nel dettaglio di un quarto magio, Artabarre, che non riuscì ad arrivare in tempo dal Bambino Gesù col suo dono (miele?), essendosi attardato ad aiutare dei bisognosi.
Gli storici ritengono che la narrazione della nascita di Gesù sia pura finzione, conseguentemente anche le figure dei Magi e della stella cometa descritte da Matteo sarebbero “leggenda”, mentre il Magistero della Chiesa cattolica ne sostiene la veridicità. D’altra parte, gli studiosi più legati alla tradizione ritengono che l’avvenimento sia quantomeno legato a qualcosa di realmente accaduto: i Magi non erano infatti ben visti nella mentalità ebraica a causa della condanna della “magia” da parte dell’Antico Testamento, quindi la tradizione non avrebbe avuto nulla da guadagnare inventando l’episodio! si ritiene dunque che l’evangelista Matteo abbia voluto rappresentare con i Magi «tutte quelle persone che venivano da lontano», ossia “gli stranieri umili e gentili venuti a fare visita al Re dei Giudei”, in contrapposizione agli ebrei.
Ma cosa rappresentano storicamente i Magi? Sono realmente esistiti? Chi erano e da dove venivano?
Nella tradizione cristiana i Magi (singolare magio) erano dei saggi esperti in varie discipline (astrologia, astronomia, filosofia, etcetera) che, secondo il Vangelo di Matteo, «seguendo la stella cometa» giunsero da Oriente per adorare il Bambino Gesù appena nato. Dal Vangelo secondo Luca sappiamo che Giuseppe, Maria e Gesù rimasero a Betlemme 40 giorni (in contrasto con la tradizione liturgica che lascia solo 12 giorni fra Natale ed Epifania... ma in effetti sappiamo che Gesù l’Esseno nacque tra il 7 e il 6 a.C. tra marzo ed ottobre). Non sappiamo pertanto se la visita dei Magi sia avvenuta a Betlemme (come da tradizione), Nazareth o Gerusalemme. La vicenda ha comunque avuto una straordinaria fortuna artistica nelle rappresentazioni della Natività e del presepe, come anche nelle altre arti, dai mosaici al cinema.
Il passo di Matteo descrive i Magi in maniera piuttosto scarna e non ne fornisce il numero esatto (fa riferimento ad un generico «alcuni Magi»), ma la tradizione più diffusa - proveniente principalmente dai Vangeli apocrifi, basandosi sul fatto che vengono citati tre doni (oro, simbolo di regalità, incenso, simbolo di divinità e mirra, un unguento), parla di tre uomini che rispondevano ai nomi di Baldassarre, Melchiorre e Gaspare. Nel tardo Medioevo venne aggiunto il particolare che giungessero dalle tre parti del mondo allora conosciuto: Africa, Persia e Arabia, e la successiva tradizione bizantina li raffigurò con le tre diverse età dell’uomo: il giovane (moro), l’uomo maturo e l’anziano. La regalità dei Magi non è attestata nelle fonti canoniche cristiane, tuttavia col tempo, la raffigurazione dei loro berretti andò modificandosi fino ad assumere «l’aspetto di una corona».
Esistono tradizioni alternative che menzionano fino a dodici Magi e una leggenda che parla nel dettaglio di un quarto magio, Artabarre, che non riuscì ad arrivare in tempo dal Bambino Gesù col suo dono (miele?), essendosi attardato ad aiutare dei bisognosi.
Gli storici ritengono che la narrazione della nascita di Gesù sia pura finzione, conseguentemente anche le figure dei Magi e della stella cometa descritte da Matteo sarebbero “leggenda”, mentre il Magistero della Chiesa cattolica ne sostiene la veridicità. D’altra parte, gli studiosi più legati alla tradizione ritengono che l’avvenimento sia quantomeno legato a qualcosa di realmente accaduto: i Magi non erano infatti ben visti nella mentalità ebraica a causa della condanna della “magia” da parte dell’Antico Testamento, quindi la tradizione non avrebbe avuto nulla da guadagnare inventando l’episodio! si ritiene dunque che l’evangelista Matteo abbia voluto rappresentare con i Magi «tutte quelle persone che venivano da lontano», ossia “gli stranieri umili e gentili venuti a fare visita al Re dei Giudei”, in contrapposizione agli ebrei.
sabato 7 settembre 2024
Atlantide, il Nautilus e Capitano Nemo
La visione con tua figlia del mediocre Aquaman 2: Il Regno perduto di giovedì 30 agosto us nell’ambito della rassegna di film all’aperto al waterfront di Reggio Calabria e poi quella a nastro del cult Nadia: Il mistero della pietra azzurra su Anime Generation, il canale anime di Prime Video, ti hanno portato alla mente la tua passione nei confronti del visionario scrittore Jules Verne, dei continenti perduti e tutta quella roba lì. Indi per cui t’è venuta l’idea di un post ragionato che sintetizzasse quelle suggestioni che tanto ti hanno affascinato nella tua ehi fu adolescenza e che sono alla base della pellicola e dell’anime suddetti.
Inizi dal principio: Atlantide, o meglio “l’isola Atlantide”, è un’isola-continente leggendaria, o meglio un continente perduto, visto che l’isola - stando alle descrizioni di Platone nei suoi dialoghi Timeo e Crizia - era grande almeno quanto “l’Asia [minore] e la Libia prese insieme”.
Atlantide è l’unico continente perduto del quale valga la pena “seriamente” e “ragionevolmente” parlare. Di essa si favoleggia sin dall’antichità classica ed esisterebbero dei ritrovamenti archeologici misteriosi a sostegno della sua esistenza - o quantomeno di ritrovamenti ai quali la Scienza ufficiale non è ancora riuscita a fornire una spiegazione credibile, a differenza di Mu e Lemuria di cui s’iniziò a parlare solo in epoca moderna e la cui esistenza è incompatibile con la storia geologica della Terra.
Atlantide avrebbe occupato un’area, oltre le Colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra), al centro dell’Oceano Atlantico settentrionale, e di cui Groenlandia, le Azzorre e fors’anche le Canarie sarebbero gli ultimi avanzi. Era sede di una potente civiltà avanzata che avrebbe conquistato anche molte terre costiere dell’Europa occidentale e del Mediterraneo. L’isola-continente sarebbe sprofondata “in un singolo giorno e notte di disgrazia [per opera di Poseidone]” all’incirca nel 10.000 a.C.
Alcuni argomentano che Platone abbia romanzato eventi passati reali, come l’eruzione vulcanica di Santorini, per piegarli alle sue necessità di divulgazione filosofica, ma diversi fantarcheologi sono certi della sua esistenza passata (che se venisse dimostrata retrodaterebbe di diversi millenni la storia dell’uomo) ed hanno proposto dozzine di localizzazioni per Atlantide, dall’ovvio fondale dell’Oceano Atlantico nel quale si sarebbe inabissata, al Deserto del Sahara, sotto le cui sabbie giacerebbe, fin sotto i ghiacci dell’Antartide, o tra le macerie della crosta terrestre, o nel passato ignoto di antiche civiltà note, come quella Cretese.
Dicevi, Platone descrisse un luogo in cui l’uomo è passato per la prima volta da uno stato di barbarie alla civiltà; una civiltà avanzata per gli standard dell’epoca (parliamo di 12.000 anni fa, mentre il resto del mondo conosciuto era ancora in pieno Mesolitico) che costruiva templi, obelischi e piramidi, addomesticava elefanti e lavorava l’avorio e metalli come l’oro, l’argento e il platino, nonché il mitico “oricalco”, che costruiva navi, esplorava e conquistava. Quando il continente s’inabissò in una terribile convulsione della natura - probabilmente a seguito di cataclismi tellurici e dell’innalzamento del livello delle acque causato dall’approssimarsi dell’Era Glaciale - le migrazioni dei suoi popoli sugli altri continenti diedero vita ad alcune delle più fiorenti civiltà note, quali egizia, etrusca, nuragica ed azteca.
Sull’Atlantide “classica” esiste una fiorente letteratura, in primis Atlantide: Il mondo antidiluviano di Ignatius Donnelly, una sorta di bibbia sull’argomento, che raccoglie tutti (ma proprio tutti!) gli indizi e le tesi canonici e non, a sostegno della passata esistenza di Atlantide.
Le riletture moderne e teosofiche vorrebbero invece Atlantide come una civiltà già tecnologizzata, capace di governare l’energia atomica e la forza del pensiero, di costruire aeroplani, armi laser e addomesticare gli ultimi dinosauri, e che avrebbe causato la propria autodistruzione a causa dell’uso sempre più improprio e spregiudicato di ignote forze. Quale che sia la verità, oggi il mito di Atlantide, in un’epoca di insicurezze ambientali e di catastrofi geopolitiche, ci consola.
In effetti, nell’Universo DC e in quello Gainax, Atlantide è rappresentata come profondamente evoluta. In Aquaman esiste ancora giacché gli atlantidei avrebbero adattato il proprio corpo a vivere sott’acqua. Più precisamente, l’Atlantide di Aquaman è una federazione di Sette Regni distribuiti su tutto il globo terracqueo: Atlantide vera e propria, il Regno di Xebel e il Regno perduto (sotto i ghiacci dell’Antartide) popolati da umanoidi, le Sirene, i Desertidi (umanoidi che vivono tra le sabbie del Sahara), la Fossa [delle Marianne] (popolata da mostruosi uomini-pesce) e la Salamoia (popolata da crostacei antropomorfi). L’idea dei Sette Regni deriva chiaramente dall’espressione “Sette Mari” che nell’antichità indicava la totalità delle distese d’acqua, mentre le loro collocazioni sono - manco a dirlo - ispirate alle più note localizzazioni proposte per la civiltà perduta.
Nel Mistero della pietra azzurra, Atlantide non esiste più in quanto si sarebbe autodistrutta a seguito dell’utilizzo della Torre di Babele (la biblica torre elevata sino ai cieli a sfidare la gloria di Dio che nell’immaginazione nipponica diventa anche un cannone nucleare).
Tra le più famose colonie di Atlantide pare vi fosse Tartesso (la biblica Tarsis), una città-stato sede di una fiorente cultura ubicata nella Penisola Iberica meridionale di fronte alle Colonne d’Ercole, sottomessa da Cartagine intorno al 500 a.C. Nel Mistero della pietra azzurra, la città di Tartesso (patria di Nadia) si trovava nello Zaire essendo sorta nell’area dov’era precipitata l’arca spaziale Noé Azzurro.
L’oricalco, altro elemento tipico e ricorrente della civiltà perduta di Atlantide: Platone lo descrive come un metallo rossastro preziosissimo e secondo solo all’oro e tipico dell’isola. Nel 2014 sono stati rinvenuti, sulla costa meridionale della Sicilia a Gela, diversi lingotti di un ignoto metallo in una nave di circa 2.600 anni fa, composto da una lega di rame e zinco, battezzato perlappunto “oricalco” [che in latino significa “rame dorato”]. Ovviamente non sappiamo se trattasi dello stesso mitologico metallo descritto dal filosofo greco. Nell’Universo DC l’oricalco diventa un minerale un tempo usato dagli atlantidei come fonte di energia inesauribile ma altamente inquinante, mentre nell’anime Gainax è il misterioso minerale luccicante alla base del gioiello azzurro di forma romboidale che Nadia porta sempre al collo e tanto desiderato dal Trio Grandis.
Il Nautilus è l’immaginario e portentoso sottomarino ideato e comandato dal Capitano Nemo in Ventimila leghe sotto i mari (1869) di Jules Verne, scrittore francese anticipatore della moderna fantascienza. Deve il suo nome al mollusco nautilus.
Il Capitano Nemo (Nemo in latino significa “Nessuno” ed è un nome che allude alla vicenda di Ulisse e del ciclope Polifemo nell’Odissea di Omero) descritto da Verne è un ricco ex-principe indiano e valente ingegnere, poliglotta, sinistro e un po’ egoista. È l’archetipo dello scienziato costretto all’azione dalla sua coscienza: il suo patriottismo e la sua voglia di rivalsa lo spingono difatti alla vendetta verso la Gran Bretagna imperialista che ha distrutto la sua patria e la sua famiglia. Si avvale dunque del Nautilus per sperorare e affondare le navi inglesi - circostanza questa che fa credere ai marinai e ai governanti che il sommergibile sia un mostro marino.
Va detto che il Nautilus, per quanto avveniristico all’epoca della scrittura da parte di Verne (è un sottomarino elettrico lungo settanta m, in grado di viaggiare fino alla velocità di 50 nodi e capace di sparare siluri), era ispirato dai progetti di un certo Robert Fulton commissionati nientepocodimenoché da Napoleone Bonaparte.
Siffatti elementi li ritroviamo anche nei pastiche a fumetti La leggenda degli uomini straordinari di Alan Moore e 20.000 secoli sotto i mari di Richard D. Nolane. Nel Mistero della pietra azzurra il Capitano Nemo è sempre un ex-principe ma stavolta discendente diretto dagli atlantidei e il Nautilus (che manco a dirlo è tecnologia atlantidea) è in realtà una corazzata spaziale in grado di muoversi negli abissi marini come negli spazi siderali.
Inizi dal principio: Atlantide, o meglio “l’isola Atlantide”, è un’isola-continente leggendaria, o meglio un continente perduto, visto che l’isola - stando alle descrizioni di Platone nei suoi dialoghi Timeo e Crizia - era grande almeno quanto “l’Asia [minore] e la Libia prese insieme”.
Atlantide è l’unico continente perduto del quale valga la pena “seriamente” e “ragionevolmente” parlare. Di essa si favoleggia sin dall’antichità classica ed esisterebbero dei ritrovamenti archeologici misteriosi a sostegno della sua esistenza - o quantomeno di ritrovamenti ai quali la Scienza ufficiale non è ancora riuscita a fornire una spiegazione credibile, a differenza di Mu e Lemuria di cui s’iniziò a parlare solo in epoca moderna e la cui esistenza è incompatibile con la storia geologica della Terra.
Atlantide avrebbe occupato un’area, oltre le Colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra), al centro dell’Oceano Atlantico settentrionale, e di cui Groenlandia, le Azzorre e fors’anche le Canarie sarebbero gli ultimi avanzi. Era sede di una potente civiltà avanzata che avrebbe conquistato anche molte terre costiere dell’Europa occidentale e del Mediterraneo. L’isola-continente sarebbe sprofondata “in un singolo giorno e notte di disgrazia [per opera di Poseidone]” all’incirca nel 10.000 a.C.
Alcuni argomentano che Platone abbia romanzato eventi passati reali, come l’eruzione vulcanica di Santorini, per piegarli alle sue necessità di divulgazione filosofica, ma diversi fantarcheologi sono certi della sua esistenza passata (che se venisse dimostrata retrodaterebbe di diversi millenni la storia dell’uomo) ed hanno proposto dozzine di localizzazioni per Atlantide, dall’ovvio fondale dell’Oceano Atlantico nel quale si sarebbe inabissata, al Deserto del Sahara, sotto le cui sabbie giacerebbe, fin sotto i ghiacci dell’Antartide, o tra le macerie della crosta terrestre, o nel passato ignoto di antiche civiltà note, come quella Cretese.
Dicevi, Platone descrisse un luogo in cui l’uomo è passato per la prima volta da uno stato di barbarie alla civiltà; una civiltà avanzata per gli standard dell’epoca (parliamo di 12.000 anni fa, mentre il resto del mondo conosciuto era ancora in pieno Mesolitico) che costruiva templi, obelischi e piramidi, addomesticava elefanti e lavorava l’avorio e metalli come l’oro, l’argento e il platino, nonché il mitico “oricalco”, che costruiva navi, esplorava e conquistava. Quando il continente s’inabissò in una terribile convulsione della natura - probabilmente a seguito di cataclismi tellurici e dell’innalzamento del livello delle acque causato dall’approssimarsi dell’Era Glaciale - le migrazioni dei suoi popoli sugli altri continenti diedero vita ad alcune delle più fiorenti civiltà note, quali egizia, etrusca, nuragica ed azteca.
Sull’Atlantide “classica” esiste una fiorente letteratura, in primis Atlantide: Il mondo antidiluviano di Ignatius Donnelly, una sorta di bibbia sull’argomento, che raccoglie tutti (ma proprio tutti!) gli indizi e le tesi canonici e non, a sostegno della passata esistenza di Atlantide.
Le riletture moderne e teosofiche vorrebbero invece Atlantide come una civiltà già tecnologizzata, capace di governare l’energia atomica e la forza del pensiero, di costruire aeroplani, armi laser e addomesticare gli ultimi dinosauri, e che avrebbe causato la propria autodistruzione a causa dell’uso sempre più improprio e spregiudicato di ignote forze. Quale che sia la verità, oggi il mito di Atlantide, in un’epoca di insicurezze ambientali e di catastrofi geopolitiche, ci consola.
In effetti, nell’Universo DC e in quello Gainax, Atlantide è rappresentata come profondamente evoluta. In Aquaman esiste ancora giacché gli atlantidei avrebbero adattato il proprio corpo a vivere sott’acqua. Più precisamente, l’Atlantide di Aquaman è una federazione di Sette Regni distribuiti su tutto il globo terracqueo: Atlantide vera e propria, il Regno di Xebel e il Regno perduto (sotto i ghiacci dell’Antartide) popolati da umanoidi, le Sirene, i Desertidi (umanoidi che vivono tra le sabbie del Sahara), la Fossa [delle Marianne] (popolata da mostruosi uomini-pesce) e la Salamoia (popolata da crostacei antropomorfi). L’idea dei Sette Regni deriva chiaramente dall’espressione “Sette Mari” che nell’antichità indicava la totalità delle distese d’acqua, mentre le loro collocazioni sono - manco a dirlo - ispirate alle più note localizzazioni proposte per la civiltà perduta.
Nel Mistero della pietra azzurra, Atlantide non esiste più in quanto si sarebbe autodistrutta a seguito dell’utilizzo della Torre di Babele (la biblica torre elevata sino ai cieli a sfidare la gloria di Dio che nell’immaginazione nipponica diventa anche un cannone nucleare).
Tra le più famose colonie di Atlantide pare vi fosse Tartesso (la biblica Tarsis), una città-stato sede di una fiorente cultura ubicata nella Penisola Iberica meridionale di fronte alle Colonne d’Ercole, sottomessa da Cartagine intorno al 500 a.C. Nel Mistero della pietra azzurra, la città di Tartesso (patria di Nadia) si trovava nello Zaire essendo sorta nell’area dov’era precipitata l’arca spaziale Noé Azzurro.
L’oricalco, altro elemento tipico e ricorrente della civiltà perduta di Atlantide: Platone lo descrive come un metallo rossastro preziosissimo e secondo solo all’oro e tipico dell’isola. Nel 2014 sono stati rinvenuti, sulla costa meridionale della Sicilia a Gela, diversi lingotti di un ignoto metallo in una nave di circa 2.600 anni fa, composto da una lega di rame e zinco, battezzato perlappunto “oricalco” [che in latino significa “rame dorato”]. Ovviamente non sappiamo se trattasi dello stesso mitologico metallo descritto dal filosofo greco. Nell’Universo DC l’oricalco diventa un minerale un tempo usato dagli atlantidei come fonte di energia inesauribile ma altamente inquinante, mentre nell’anime Gainax è il misterioso minerale luccicante alla base del gioiello azzurro di forma romboidale che Nadia porta sempre al collo e tanto desiderato dal Trio Grandis.
Il Nautilus è l’immaginario e portentoso sottomarino ideato e comandato dal Capitano Nemo in Ventimila leghe sotto i mari (1869) di Jules Verne, scrittore francese anticipatore della moderna fantascienza. Deve il suo nome al mollusco nautilus.
Il Capitano Nemo (Nemo in latino significa “Nessuno” ed è un nome che allude alla vicenda di Ulisse e del ciclope Polifemo nell’Odissea di Omero) descritto da Verne è un ricco ex-principe indiano e valente ingegnere, poliglotta, sinistro e un po’ egoista. È l’archetipo dello scienziato costretto all’azione dalla sua coscienza: il suo patriottismo e la sua voglia di rivalsa lo spingono difatti alla vendetta verso la Gran Bretagna imperialista che ha distrutto la sua patria e la sua famiglia. Si avvale dunque del Nautilus per sperorare e affondare le navi inglesi - circostanza questa che fa credere ai marinai e ai governanti che il sommergibile sia un mostro marino.
Va detto che il Nautilus, per quanto avveniristico all’epoca della scrittura da parte di Verne (è un sottomarino elettrico lungo settanta m, in grado di viaggiare fino alla velocità di 50 nodi e capace di sparare siluri), era ispirato dai progetti di un certo Robert Fulton commissionati nientepocodimenoché da Napoleone Bonaparte.
Siffatti elementi li ritroviamo anche nei pastiche a fumetti La leggenda degli uomini straordinari di Alan Moore e 20.000 secoli sotto i mari di Richard D. Nolane. Nel Mistero della pietra azzurra il Capitano Nemo è sempre un ex-principe ma stavolta discendente diretto dagli atlantidei e il Nautilus (che manco a dirlo è tecnologia atlantidea) è in realtà una corazzata spaziale in grado di muoversi negli abissi marini come negli spazi siderali.
martedì 4 giugno 2024
La Casa delle Conchiglie. Commento
Editore: Hypnos
Autore: Ivo Torello
Genere: weird erotica
Pagine: 420
Voto: ★★★☆☆
Parigi, 1863. Nel bordello di lusso conosciuto come la “Maison des Coquillages” (la “Casa delle Conchiglie” del titolo) s’incontrano prostitute straordinarie, artisti ossessionati e borghesi danarosi: ognuno ha una storia, un demone nascosto o una perversione. A condurre la dissacrante sinfonia di peccati e misteri, tra pseudobiblia, afrodisiaci alchemici, arcane presenze, società segrete e sedute spiritiche, è la maîtresse Madame Sabatière. Fantastica figura femminile, scaltra, seducente e decisa, sarà lei a prendere per mano il lettore per condurlo tra corpi palpitanti e pratiche occulte, in un caleidoscopico senza precedenti per la narrativa fantastica italiana.
La Casa delle Conchiglie è la seconda lunga fatica del nostrano Ivo Torello, esordito - dopo le consuete prove narrative brevi sulla rivista Carmilla - nel 2012 con Predatori dell’abisso sempre per i tipi della Hypnos (di cui è peraltro art director dal 2016). Genovese di nascita, classe 1974, scrittore, illustratore (suo l’Astounding Lovecraftian Creatures, galleria grafica di mostri lovecraftiani), fotografo e appassionato d'arte, si è imposto all'attenzione del pubblico anche internazionale come scrittore weird di razza, al pari del suo contemporaneo Thomas Ligotti (americano di seconda generazione costui, ma di origini siciliane) dal quale però si allontana nettamente giacché lì dove Ligotti è pessimista e nichilista, Torello è invece positivista e materialista.
Ne La Casa delle Conchiglie Torello mescola abilmente storia e mitologia lovecraftiana. Il romanzo - ambientato nella licenziosa Parigi di fin de siècle e nel cui bordello fanno incursione personaggi realmente esistiti (dal pittore Courbet al fotografo Nadar, dall’astronomo Flammarion allo scrittore Alexandre Dumas) - è apertamente erotico: nessuna “specialità della casa” ci viene taciuta, anzi tutte ci vengono descritte con minuzia, ironia da viveur e senza giri di parole, senza pudori, come stessimo a sbirciare da un buco della serratura. E poi c’è anche il weird legato alle ritualità magiche della maîtresse, volte a proteggere il suo tempio dell’eros dai nemici del mondo oltre la soglia.
La mescolanza tra erotismo e fantastico crea un’atmosfera che ricorda a tratti Il Grande Dio Pan di Machen (per l’esistenza di un “altrove oltre il velo” cui accedere col ricorso di sostanze capaci di sublimare l’estasi) e Alraune di Ewers (per l’atmosfera corrotta e gli espliciti riferimenti sessuali), ma soprattutto alle opere di Restif de la Bretonne, del marchese De Sade, e in particolare di Aleister Crowley, la cui religione sappiamo che era intimamente legata alla “magia sessuale”.
Invero, nonostante la scrittura a tratti colta e ricercata, il libro finisce sovente su quel sottile confine tra erotismo e pornografia, tra liceità e volgarità, per via del suo continuo indugiare sulle minuziose descrizioni di ritualità magiche e pratiche sessuali, sicché, non avendo trovato quello scritto davvero elegante che le numerose recensioni entusiastiche ti avevano fatto credere, più volte sei stato sul punto di abbandonarlo. Ma la curiosità e la morbosità, a contrario, ti hanno portato a continuarlo fino alla conclusione.
N.B. il libro si chiude con un’appendice illustrata con le opere erotiche reali dei pittori francesi che Torello immagina partorite durante le loro bollenti sedute presso la "Maison des Coquillages”.
Autore: Ivo Torello
Genere: weird erotica
Pagine: 420
Voto: ★★★☆☆
Parigi, 1863. Nel bordello di lusso conosciuto come la “Maison des Coquillages” (la “Casa delle Conchiglie” del titolo) s’incontrano prostitute straordinarie, artisti ossessionati e borghesi danarosi: ognuno ha una storia, un demone nascosto o una perversione. A condurre la dissacrante sinfonia di peccati e misteri, tra pseudobiblia, afrodisiaci alchemici, arcane presenze, società segrete e sedute spiritiche, è la maîtresse Madame Sabatière. Fantastica figura femminile, scaltra, seducente e decisa, sarà lei a prendere per mano il lettore per condurlo tra corpi palpitanti e pratiche occulte, in un caleidoscopico senza precedenti per la narrativa fantastica italiana.
La Casa delle Conchiglie è la seconda lunga fatica del nostrano Ivo Torello, esordito - dopo le consuete prove narrative brevi sulla rivista Carmilla - nel 2012 con Predatori dell’abisso sempre per i tipi della Hypnos (di cui è peraltro art director dal 2016). Genovese di nascita, classe 1974, scrittore, illustratore (suo l’Astounding Lovecraftian Creatures, galleria grafica di mostri lovecraftiani), fotografo e appassionato d'arte, si è imposto all'attenzione del pubblico anche internazionale come scrittore weird di razza, al pari del suo contemporaneo Thomas Ligotti (americano di seconda generazione costui, ma di origini siciliane) dal quale però si allontana nettamente giacché lì dove Ligotti è pessimista e nichilista, Torello è invece positivista e materialista.
Ne La Casa delle Conchiglie Torello mescola abilmente storia e mitologia lovecraftiana. Il romanzo - ambientato nella licenziosa Parigi di fin de siècle e nel cui bordello fanno incursione personaggi realmente esistiti (dal pittore Courbet al fotografo Nadar, dall’astronomo Flammarion allo scrittore Alexandre Dumas) - è apertamente erotico: nessuna “specialità della casa” ci viene taciuta, anzi tutte ci vengono descritte con minuzia, ironia da viveur e senza giri di parole, senza pudori, come stessimo a sbirciare da un buco della serratura. E poi c’è anche il weird legato alle ritualità magiche della maîtresse, volte a proteggere il suo tempio dell’eros dai nemici del mondo oltre la soglia.
La mescolanza tra erotismo e fantastico crea un’atmosfera che ricorda a tratti Il Grande Dio Pan di Machen (per l’esistenza di un “altrove oltre il velo” cui accedere col ricorso di sostanze capaci di sublimare l’estasi) e Alraune di Ewers (per l’atmosfera corrotta e gli espliciti riferimenti sessuali), ma soprattutto alle opere di Restif de la Bretonne, del marchese De Sade, e in particolare di Aleister Crowley, la cui religione sappiamo che era intimamente legata alla “magia sessuale”.
Invero, nonostante la scrittura a tratti colta e ricercata, il libro finisce sovente su quel sottile confine tra erotismo e pornografia, tra liceità e volgarità, per via del suo continuo indugiare sulle minuziose descrizioni di ritualità magiche e pratiche sessuali, sicché, non avendo trovato quello scritto davvero elegante che le numerose recensioni entusiastiche ti avevano fatto credere, più volte sei stato sul punto di abbandonarlo. Ma la curiosità e la morbosità, a contrario, ti hanno portato a continuarlo fino alla conclusione.
N.B. il libro si chiude con un’appendice illustrata con le opere erotiche reali dei pittori francesi che Torello immagina partorite durante le loro bollenti sedute presso la "Maison des Coquillages”.
venerdì 31 maggio 2024
Un carro nel cielo + I pionieri di Exlan. Commento
Terminato di leggere il dittico Un carro nel cielo e I
pionieri di Exlan di Louis Navire, pseudonimo
franconofeggiante dell’italianissimo Luigi Naviglio (1936-2001), uno dei
più prolifici autori italiani di fantascienza della scuola degli Anni ’60...
epoca d’oro del fantastico nel Bel Paese allorché, sull’onda delle traduzioni
d’Oltremare in un periodo ricchissimo di collane (da Urania a
Galassia, da Slan a Cosmo Ponzoni, ai
Racconti di Dracula), molti scrittori italiani, spesso con
rispettabilissime professioni, si cimentarono in quest’attività “di
arrotondamento economico”, sovente con buoni risultati e dimostrando un sorprendente immaginario.
Luigi Naviglio, fotoreporter di rotocalchi e fotoromanzi, scrittore versatile (scrisse western, romance, racconti storici, erotici e di fantascienza) e sceneggiatore di fumetti attivo fino agli inizi degli Anni ’90 (quando una grave malattia lo portò gradualmente alla tomba), esordì nella fantascienza con alcuni racconti pubblicati in appendice ai già citati Cosmo Ponzoni. Scrisse in tutto una decina di romanzi-di-genere, alcuni dei quali tradotti anche in tedesco e francese, e fu grande sostenitore del fandom italiano nonché fondatore della fanzine Verso le stelle, che divenne in breve tempo una vera rivista da edicola. Naviglio è un autore che, sebbene decisamente “commerciale e consumistico”, andrebbe riscoperto e riproposto in quanto le sue sono storie ricchissime di sense of wonder al pari di quelle di autori angloamericani suoi contemporanei molto più blasonati.
Dicevi: Un carro nel cielo e I pionieri di Exlan fanno parte delle opere migliori del Naviglio fantascientista, laddove Un carro nel cielo [risveglio del protagonista dopo 5.000 anni su una Terra futura abitata da creature incredibili e dominata dal mito e dalla superstizione, in un susseguirsi di avventure in luoghi pazzeschi] segna il suo poderoso esordio nel genere della space opera, con una vicenda ancora oggi originale, I pionieri di Exlan [terraformazione da parte di coloni di un lontano pianeta che cela un terrificante segreto] è un’avventura spaziale, avvincente quanto spaventosa, che sfocia in un orrore cosmico.
Luigi Naviglio, fotoreporter di rotocalchi e fotoromanzi, scrittore versatile (scrisse western, romance, racconti storici, erotici e di fantascienza) e sceneggiatore di fumetti attivo fino agli inizi degli Anni ’90 (quando una grave malattia lo portò gradualmente alla tomba), esordì nella fantascienza con alcuni racconti pubblicati in appendice ai già citati Cosmo Ponzoni. Scrisse in tutto una decina di romanzi-di-genere, alcuni dei quali tradotti anche in tedesco e francese, e fu grande sostenitore del fandom italiano nonché fondatore della fanzine Verso le stelle, che divenne in breve tempo una vera rivista da edicola. Naviglio è un autore che, sebbene decisamente “commerciale e consumistico”, andrebbe riscoperto e riproposto in quanto le sue sono storie ricchissime di sense of wonder al pari di quelle di autori angloamericani suoi contemporanei molto più blasonati.
Dicevi: Un carro nel cielo e I pionieri di Exlan fanno parte delle opere migliori del Naviglio fantascientista, laddove Un carro nel cielo [risveglio del protagonista dopo 5.000 anni su una Terra futura abitata da creature incredibili e dominata dal mito e dalla superstizione, in un susseguirsi di avventure in luoghi pazzeschi] segna il suo poderoso esordio nel genere della space opera, con una vicenda ancora oggi originale, I pionieri di Exlan [terraformazione da parte di coloni di un lontano pianeta che cela un terrificante segreto] è un’avventura spaziale, avvincente quanto spaventosa, che sfocia in un orrore cosmico.
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