La visione con tua figlia del mediocre Aquaman 2: Il Regno perduto di giovedì 30 agosto us nell’ambito della rassegna di film all’aperto al waterfront di Reggio Calabria e poi quella a nastro del cult Nadia: Il mistero della pietra azzurra su Anime Generation, il canale anime di Prime Video, ti hanno portato alla mente la tua passione nei confronti del visionario scrittore Jules Verne, dei continenti perduti e tutta quella roba lì. Indi per cui t’è venuta l’idea di un post ragionato che sintetizzasse quelle suggestioni che tanto ti hanno affascinato nella tua ehi fu adolescenza e che sono alla base della pellicola e dell’anime suddetti.
Inizi dal principio: Atlantide, o meglio “l’isola Atlantide”, è un’isola-continente leggendaria, o meglio un continente perduto, visto che l’isola - stando alle descrizioni di Platone nei suoi dialoghi Timeo e Crizia - era grande almeno quanto “l’Asia [minore] e la Libia prese insieme”.
Atlantide è l’unico continente perduto del quale valga la pena “seriamente” e “ragionevolmente” parlare. Di essa si favoleggia sin dall’antichità classica ed esisterebbero dei ritrovamenti archeologici misteriosi a sostegno della sua esistenza - o quantomeno di ritrovamenti ai quali la Scienza ufficiale non è ancora riuscita a fornire una spiegazione credibile, a differenza di Mu e Lemuria di cui s’iniziò a parlare solo in epoca moderna e la cui esistenza è incompatibile con la storia geologica della Terra.
Atlantide avrebbe occupato un’area, oltre le Colonne d’Ercole (Stretto di Gibilterra), al centro dell’Oceano Atlantico settentrionale, e di cui Groenlandia, le Azzorre e fors’anche le Canarie sarebbero gli ultimi avanzi. Era sede di una potente civiltà avanzata che avrebbe conquistato anche molte terre costiere dell’Europa occidentale e del Mediterraneo. L’isola-continente sarebbe sprofondata “in un singolo giorno e notte di disgrazia [per opera di Poseidone]” all’incirca nel 10.000 a.C.
Alcuni argomentano che Platone abbia romanzato eventi passati reali, come l’eruzione vulcanica di Santorini, per piegarli alle sue necessità di divulgazione filosofica, ma diversi fantarcheologi sono certi della sua esistenza passata (che se venisse dimostrata retrodaterebbe di diversi millenni la storia dell’uomo) ed hanno proposto dozzine di localizzazioni per Atlantide, dall’ovvio fondale dell’Oceano Atlantico nel quale si sarebbe inabissata, al Deserto del Sahara, sotto le cui sabbie giacerebbe, fin sotto i ghiacci dell’Antartide, o tra le macerie della crosta terrestre, o nel passato ignoto di antiche civiltà note, come quella Cretese.
Dicevi, Platone descrisse un luogo in cui l’uomo è passato per la prima volta da uno stato di barbarie alla civiltà; una civiltà avanzata per gli standard dell’epoca (parliamo di 12.000 anni fa, mentre il resto del mondo conosciuto era ancora in pieno Mesolitico) che costruiva templi, obelischi e piramidi, addomesticava elefanti e lavorava l’avorio e metalli come l’oro, l’argento e il platino, nonché il mitico “oricalco”, che costruiva navi, esplorava e conquistava. Quando il continente s’inabissò in una terribile convulsione della natura - probabilmente a seguito di cataclismi tellurici e dell’innalzamento del livello delle acque causato dall’approssimarsi dell’Era Glaciale - le migrazioni dei suoi popoli sugli altri continenti diedero vita ad alcune delle più fiorenti civiltà note, quali egizia, etrusca, nuragica ed azteca.
Sull’Atlantide “classica” esiste una fiorente letteratura, in primis Atlantide: Il mondo antidiluviano di Ignatius Donnelly, una sorta di bibbia sull’argomento, che raccoglie tutti (ma proprio tutti!) gli indizi e le tesi canonici e non, a sostegno della passata esistenza di Atlantide.
Le riletture moderne e teosofiche vorrebbero invece Atlantide come una civiltà già tecnologizzata, capace di governare l’energia atomica e la forza del pensiero, di costruire aeroplani, armi laser e addomesticare gli ultimi dinosauri, e che avrebbe causato la propria autodistruzione a causa dell’uso sempre più improprio e spregiudicato di ignote forze. Quale che sia la verità, oggi il mito di Atlantide, in un’epoca di insicurezze ambientali e di catastrofi geopolitiche, ci consola.
In effetti, nell’Universo DC e in quello Gainax, Atlantide è rappresentata come profondamente evoluta. In Aquaman esiste ancora giacché gli atlantidei avrebbero adattato il proprio corpo a vivere sott’acqua. Più precisamente, l’Atlantide di Aquaman è una federazione di Sette Regni distribuiti su tutto il globo terracqueo: Atlantide vera e propria, il Regno di Xebel e il Regno perduto (sotto i ghiacci dell’Antartide) popolati da umanoidi, le Sirene, i Desertidi (umanoidi che vivono tra le sabbie del Sahara), la Fossa [delle Marianne] (popolata da mostruosi uomini-pesce) e la Salamoia (popolata da crostacei antropomorfi). L’idea dei Sette Regni deriva chiaramente dall’espressione “Sette Mari” che nell’antichità indicava la totalità delle distese d’acqua, mentre le loro collocazioni sono - manco a dirlo - ispirate alle più note localizzazioni proposte per la civiltà perduta.
Nel Mistero della pietra azzurra, Atlantide non esiste più in quanto si sarebbe autodistrutta a seguito dell’utilizzo della Torre di Babele (la biblica torre elevata sino ai cieli a sfidare la gloria di Dio che nell’immaginazione nipponica diventa anche un cannone nucleare).
Tra le più famose colonie di Atlantide pare vi fosse Tartesso (la biblica Tarsis), una città-stato sede di una fiorente cultura ubicata nella Penisola Iberica meridionale di fronte alle Colonne d’Ercole, sottomessa da Cartagine intorno al 500 a.C. Nel Mistero della pietra azzurra, la città di Tartesso (patria di Nadia) si trovava nello Zaire essendo sorta nell’area dov’era precipitata l’arca spaziale Noé Azzurro.
L’oricalco, altro elemento tipico e ricorrente della civiltà perduta di Atlantide: Platone lo descrive come un metallo rossastro preziosissimo e secondo solo all’oro e tipico dell’isola. Nel 2014 sono stati rinvenuti, sulla costa meridionale della Sicilia a Gela, diversi lingotti di un ignoto metallo in una nave di circa 2.600 anni fa, composto da una lega di rame e zinco, battezzato perlappunto “oricalco” [che in latino significa “rame dorato”]. Ovviamente non sappiamo se trattasi dello stesso mitologico metallo descritto dal filosofo greco. Nell’Universo DC l’oricalco diventa un minerale un tempo usato dagli atlantidei come fonte di energia inesauribile ma altamente inquinante, mentre nell’anime Gainax è il misterioso minerale luccicante alla base del gioiello azzurro di forma romboidale che Nadia porta sempre al collo e tanto desiderato dal Trio Grandis.
Il Nautilus è l’immaginario e portentoso sottomarino ideato e comandato dal Capitano Nemo in Ventimila leghe sotto i mari (1869) di Jules Verne, scrittore francese anticipatore della moderna fantascienza. Deve il suo nome al mollusco nautilus.
Il Capitano Nemo (Nemo in latino significa “Nessuno” ed è un nome che allude alla vicenda di Ulisse e del ciclope Polifemo nell’Odissea di Omero) descritto da Verne è un ricco ex-principe indiano e valente ingegnere, poliglotta, sinistro e un po’ egoista. È l’archetipo dello scienziato costretto all’azione dalla sua coscienza: il suo patriottismo e la sua voglia di rivalsa lo spingono difatti alla vendetta verso la Gran Bretagna imperialista che ha distrutto la sua patria e la sua famiglia. Si avvale dunque del Nautilus per sperorare e affondare le navi inglesi - circostanza questa che fa credere ai marinai e ai governanti che il sommergibile sia un mostro marino.
Va detto che il Nautilus, per quanto avveniristico all’epoca della scrittura da parte di Verne (è un sottomarino elettrico lungo settanta m, in grado di viaggiare fino alla velocità di 50 nodi e capace di sparare siluri), era ispirato dai progetti di un certo Robert Fulton commissionati nientepocodimenoché da Napoleone Bonaparte.
Siffatti elementi li ritroviamo anche nei pastiche a fumetti La leggenda degli uomini straordinari di Alan Moore e 20.000 secoli sotto i mari di Richard D. Nolane. Nel Mistero della pietra azzurra il Capitano Nemo è sempre un ex-principe ma stavolta discendente diretto dagli atlantidei e il Nautilus (che manco a dirlo è tecnologia atlantidea) è in realtà una corazzata spaziale in grado di muoversi negli abissi marini come negli spazi siderali.
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diario semiserio aperiodico di un nerd dilettante e di libero pensiero
seguito da
annotazioni, pensieri, parole, opere e... omissioni
sabato 7 settembre 2024
martedì 4 giugno 2024
La Casa delle Conchiglie. Commento
Editore: Hypnos
Autore: Ivo Torello
Genere: weird erotica
Pagine: 420
Voto: ★★★☆☆
Parigi, 1863. Nel bordello di lusso conosciuto come la “Maison des Coquillages” (la “Casa delle Conchiglie” del titolo) s’incontrano prostitute straordinarie, artisti ossessionati e borghesi danarosi: ognuno ha una storia, un demone nascosto o una perversione. A condurre la dissacrante sinfonia di peccati e misteri, tra pseudobiblia, afrodisiaci alchemici, arcane presenze, società segrete e sedute spiritiche, è la maîtresse Madame Sabatière. Fantastica figura femminile, scaltra, seducente e decisa, sarà lei a prendere per mano il lettore per condurlo tra corpi palpitanti e pratiche occulte, in un caleidoscopico senza precedenti per la narrativa fantastica italiana.
La Casa delle Conchiglie è la seconda lunga fatica del nostrano Ivo Torello, esordito - dopo le consuete prove narrative brevi sulla rivista Carmilla - nel 2012 con Predatori dell’abisso sempre per i tipi della Hypnos (di cui è peraltro art director dal 2016). Genovese di nascita, classe 1974, scrittore, illustratore (suo l’Astounding Lovecraftian Creatures, galleria grafica di mostri lovecraftiani), fotografo e appassionato d'arte, si è imposto all'attenzione del pubblico anche internazionale come scrittore weird di razza, al pari del suo contemporaneo Thomas Ligotti (americano di seconda generazione costui, ma di origini siciliane) dal quale però si allontana nettamente giacché lì dove Ligotti è pessimista e nichilista, Torello è invece positivista e materialista.
Ne La Casa delle Conchiglie Torello mescola abilmente storia e mitologia lovecraftiana. Il romanzo - ambientato nella licenziosa Parigi di fin de siècle e nel cui bordello fanno incursione personaggi realmente esistiti (dal pittore Courbet al fotografo Nadar, dall’astronomo Flammarion allo scrittore Alexandre Dumas) - è apertamente erotico: nessuna “specialità della casa” ci viene taciuta, anzi tutte ci vengono descritte con minuzia, ironia da viveur e senza giri di parole, senza pudori, come stessimo a sbirciare da un buco della serratura. E poi c’è anche il weird legato alle ritualità magiche della maîtresse, volte a proteggere il suo tempio dell’eros dai nemici del mondo oltre la soglia.
La mescolanza tra erotismo e fantastico crea un’atmosfera che ricorda a tratti Il Grande Dio Pan di Machen (per l’esistenza di un “altrove oltre il velo” cui accedere col ricorso di sostanze capaci di sublimare l’estasi) e Alraune di Ewers (per l’atmosfera corrotta e gli espliciti riferimenti sessuali), ma soprattutto alle opere di Restif de la Bretonne, del marchese De Sade, e in particolare di Aleister Crowley, la cui religione sappiamo che era intimamente legata alla “magia sessuale”.
Invero, nonostante la scrittura a tratti colta e ricercata, il libro finisce sovente su quel sottile confine tra erotismo e pornografia, tra liceità e volgarità, per via del suo continuo indugiare sulle minuziose descrizioni di ritualità magiche e pratiche sessuali, sicché, non avendo trovato quello scritto davvero elegante che le numerose recensioni entusiastiche ti avevano fatto credere, più volte sei stato sul punto di abbandonarlo. Ma la curiosità e la morbosità, a contrario, ti hanno portato a continuarlo fino alla conclusione.
N.B. il libro si chiude con un’appendice illustrata con le opere erotiche reali dei pittori francesi che Torello immagina partorite durante le loro bollenti sedute presso la "Maison des Coquillages”.
Autore: Ivo Torello
Genere: weird erotica
Pagine: 420
Voto: ★★★☆☆
Parigi, 1863. Nel bordello di lusso conosciuto come la “Maison des Coquillages” (la “Casa delle Conchiglie” del titolo) s’incontrano prostitute straordinarie, artisti ossessionati e borghesi danarosi: ognuno ha una storia, un demone nascosto o una perversione. A condurre la dissacrante sinfonia di peccati e misteri, tra pseudobiblia, afrodisiaci alchemici, arcane presenze, società segrete e sedute spiritiche, è la maîtresse Madame Sabatière. Fantastica figura femminile, scaltra, seducente e decisa, sarà lei a prendere per mano il lettore per condurlo tra corpi palpitanti e pratiche occulte, in un caleidoscopico senza precedenti per la narrativa fantastica italiana.
La Casa delle Conchiglie è la seconda lunga fatica del nostrano Ivo Torello, esordito - dopo le consuete prove narrative brevi sulla rivista Carmilla - nel 2012 con Predatori dell’abisso sempre per i tipi della Hypnos (di cui è peraltro art director dal 2016). Genovese di nascita, classe 1974, scrittore, illustratore (suo l’Astounding Lovecraftian Creatures, galleria grafica di mostri lovecraftiani), fotografo e appassionato d'arte, si è imposto all'attenzione del pubblico anche internazionale come scrittore weird di razza, al pari del suo contemporaneo Thomas Ligotti (americano di seconda generazione costui, ma di origini siciliane) dal quale però si allontana nettamente giacché lì dove Ligotti è pessimista e nichilista, Torello è invece positivista e materialista.
Ne La Casa delle Conchiglie Torello mescola abilmente storia e mitologia lovecraftiana. Il romanzo - ambientato nella licenziosa Parigi di fin de siècle e nel cui bordello fanno incursione personaggi realmente esistiti (dal pittore Courbet al fotografo Nadar, dall’astronomo Flammarion allo scrittore Alexandre Dumas) - è apertamente erotico: nessuna “specialità della casa” ci viene taciuta, anzi tutte ci vengono descritte con minuzia, ironia da viveur e senza giri di parole, senza pudori, come stessimo a sbirciare da un buco della serratura. E poi c’è anche il weird legato alle ritualità magiche della maîtresse, volte a proteggere il suo tempio dell’eros dai nemici del mondo oltre la soglia.
La mescolanza tra erotismo e fantastico crea un’atmosfera che ricorda a tratti Il Grande Dio Pan di Machen (per l’esistenza di un “altrove oltre il velo” cui accedere col ricorso di sostanze capaci di sublimare l’estasi) e Alraune di Ewers (per l’atmosfera corrotta e gli espliciti riferimenti sessuali), ma soprattutto alle opere di Restif de la Bretonne, del marchese De Sade, e in particolare di Aleister Crowley, la cui religione sappiamo che era intimamente legata alla “magia sessuale”.
Invero, nonostante la scrittura a tratti colta e ricercata, il libro finisce sovente su quel sottile confine tra erotismo e pornografia, tra liceità e volgarità, per via del suo continuo indugiare sulle minuziose descrizioni di ritualità magiche e pratiche sessuali, sicché, non avendo trovato quello scritto davvero elegante che le numerose recensioni entusiastiche ti avevano fatto credere, più volte sei stato sul punto di abbandonarlo. Ma la curiosità e la morbosità, a contrario, ti hanno portato a continuarlo fino alla conclusione.
N.B. il libro si chiude con un’appendice illustrata con le opere erotiche reali dei pittori francesi che Torello immagina partorite durante le loro bollenti sedute presso la "Maison des Coquillages”.
venerdì 31 maggio 2024
Un carro nel cielo + I pionieri di Exlan. Commento
Terminato di leggere il dittico Un carro nel cielo e I
pionieri di Exlan di Louis Navire, pseudonimo
franconofeggiante dell’italianissimo Luigi Naviglio (1936-2001), uno dei
più prolifici autori italiani di fantascienza della scuola degli Anni ’60...
epoca d’oro del fantastico nel Bel Paese allorché, sull’onda delle traduzioni
d’Oltremare in un periodo ricchissimo di collane (da Urania a
Galassia, da Slan a Cosmo Ponzoni, ai
Racconti di Dracula), molti scrittori italiani, spesso con
rispettabilissime professioni, si cimentarono in quest’attività “di
arrotondamento economico”, sovente con buoni risultati e dimostrando un sorprendente immaginario.
Luigi Naviglio, fotoreporter di rotocalchi e fotoromanzi, scrittore versatile (scrisse western, romance, racconti storici, erotici e di fantascienza) e sceneggiatore di fumetti attivo fino agli inizi degli Anni ’90 (quando una grave malattia lo portò gradualmente alla tomba), esordì nella fantascienza con alcuni racconti pubblicati in appendice ai già citati Cosmo Ponzoni. Scrisse in tutto una decina di romanzi-di-genere, alcuni dei quali tradotti anche in tedesco e francese, e fu grande sostenitore del fandom italiano nonché fondatore della fanzine Verso le stelle, che divenne in breve tempo una vera rivista da edicola. Naviglio è un autore che, sebbene decisamente “commerciale e consumistico”, andrebbe riscoperto e riproposto in quanto le sue sono storie ricchissime di sense of wonder al pari di quelle di autori angloamericani suoi contemporanei molto più blasonati.
Dicevi: Un carro nel cielo e I pionieri di Exlan fanno parte delle opere migliori del Naviglio fantascientista, laddove Un carro nel cielo [risveglio del protagonista dopo 5.000 anni su una Terra futura abitata da creature incredibili e dominata dal mito e dalla superstizione, in un susseguirsi di avventure in luoghi pazzeschi] segna il suo poderoso esordio nel genere della space opera, con una vicenda ancora oggi originale, I pionieri di Exlan [terraformazione da parte di coloni di un lontano pianeta che cela un terrificante segreto] è un’avventura spaziale, avvincente quanto spaventosa, che sfocia in un orrore cosmico.
Luigi Naviglio, fotoreporter di rotocalchi e fotoromanzi, scrittore versatile (scrisse western, romance, racconti storici, erotici e di fantascienza) e sceneggiatore di fumetti attivo fino agli inizi degli Anni ’90 (quando una grave malattia lo portò gradualmente alla tomba), esordì nella fantascienza con alcuni racconti pubblicati in appendice ai già citati Cosmo Ponzoni. Scrisse in tutto una decina di romanzi-di-genere, alcuni dei quali tradotti anche in tedesco e francese, e fu grande sostenitore del fandom italiano nonché fondatore della fanzine Verso le stelle, che divenne in breve tempo una vera rivista da edicola. Naviglio è un autore che, sebbene decisamente “commerciale e consumistico”, andrebbe riscoperto e riproposto in quanto le sue sono storie ricchissime di sense of wonder al pari di quelle di autori angloamericani suoi contemporanei molto più blasonati.
Dicevi: Un carro nel cielo e I pionieri di Exlan fanno parte delle opere migliori del Naviglio fantascientista, laddove Un carro nel cielo [risveglio del protagonista dopo 5.000 anni su una Terra futura abitata da creature incredibili e dominata dal mito e dalla superstizione, in un susseguirsi di avventure in luoghi pazzeschi] segna il suo poderoso esordio nel genere della space opera, con una vicenda ancora oggi originale, I pionieri di Exlan [terraformazione da parte di coloni di un lontano pianeta che cela un terrificante segreto] è un’avventura spaziale, avvincente quanto spaventosa, che sfocia in un orrore cosmico.
martedì 7 maggio 2024
La porta dell'irreale. Commento
Editore: Arcoiris
Autore: Gerald Biss
Genere: weird
Pagine: 264
Voto: ★★★★☆
Terminato di leggere giusto stanotte trascinato da una irrefrenabile frenesia che non ti ha mollato fintantoché non l’hai terminato, La porta dell’irreale è considerato il primo grande classico sulla licantropia - opera unica del 1919 del giornalista Gerald Biss, finalmente disponibile anche in italico idioma grazie ai tizi delle Edizioni Arcoiris, arricchito dalle illustrazioni originali di Edmund Frederick già utilizzate nella sua serializzazione su rivista in Australia e negli States.
[Edwin] Gerald [Jones] Biss (1876-1922) fu un giornalista inglese di Cambridge appassionato di automobili. Questa sua passione trasuda con chiarezza dalla novella: non potrà mancarsi di notare infatti l’amorevole descrizione delle vetture in possesso dei vari personaggi che muovono e interagiscono nella vicenda - sostanzialmente “un’indagine” attorno una serie di orrendi delitti occorsi nella campagna del Sussex.
La porta dell’irreale è un racconto che fu lodato persino dal Solitario di Providence: “Dracula ha ispirato molti simili romanzi di orrore soprannaturale, e uno dei migliori esempi è probabilmente La porta dell’irreale di Gerald Biss, che mostra particolare destrezza nell’affrontare la comune superstizione del lupo mannaro”. Con queste parole H.P. Lovecraft accostò, nel suo famoso saggio L’orrore soprannaturale nella letteratura, il romanzo di Biss al capolavoro di Stoker. Un accostamento giustificabile per il fatto che - quantomeno nel primo atto, la struttura del romanzo non è dissimile da quella epistolare di Dracula (con tanto di stralci, memorandum e missive), e presenta una dimensione corale della vicenda, con esiti altrettanto ottimi.
A differenza del Dracula, però, l’ambientazione de La porta dell’irreale non è quella gotica o vittoriana, bensì quella dell’era della motorizzazione. Non mancano comunque atmosfere cupe e misteriose, fascinazione e senso d’inquietudine, passioni oscure e ritmo incalzante, lotta tra Bene e Male, narrazione coinvolgente... il tutto sapientemente orchestrato con uno stile di scrittura comunque molto classico. E nel garantire maggiore immersività ruolo importante hanno le già citate illustrazioni d’epoca e la pregevole fattura del volumetto che, seppur paperback, presenta un’ottima veste editoriale arricchita da un’evocativa copertina con illustrato un batacchio ricavato da una testa di lupo.
Ciò detto, il senso d’apprensione che trascina il lettore fino agli ultimi capitoli purtroppo non sfocia nell’epilogo tanto [da TE] atteso: le descrizioni delle creature e la loro soppressione non ti hanno convinto del tutto, nonostante il fatto innegabile che La porta dell’irreale abbia rappresentato, per la figura letteraria del lupo mannaro, un esercizio di codifica decisiva (seppur non definitiva) come lo fu in precedenza quella di Stoker per il “collega” vampiro: manca quella rappresentazione mostruosa, sanguinaria e dinoccolata della creatura, o l’ausilio di strumenti tipici come i proiettili d’argento. Ma forse, da questo punto di vista, bisognerà aspettare che sia il cinema ad impossessarsi della figura del licantropo!
EDIT: Si chiude con La porta dell’irreale il tuo ciclo di letture sui lupi mannari, dopo Il lupo dei cugini Émile Erckmann & Alexandre Chatrian, Il signore dei lupi di Alexandre Dumas, Il figlio della notte di Jack Williamson, il mammuthone Newton & Compton Storie di lupi mannari [contenente tanti racconti classici dei maestri della narrativa breve], nell'attesa di poter leggere prima o poi il penny dreadful/romanzo-fiume Wagner, the wehr-wolf di George W.M. Reynolds, finora inedito nel Bel Paese.
Autore: Gerald Biss
Genere: weird
Pagine: 264
Voto: ★★★★☆
Terminato di leggere giusto stanotte trascinato da una irrefrenabile frenesia che non ti ha mollato fintantoché non l’hai terminato, La porta dell’irreale è considerato il primo grande classico sulla licantropia - opera unica del 1919 del giornalista Gerald Biss, finalmente disponibile anche in italico idioma grazie ai tizi delle Edizioni Arcoiris, arricchito dalle illustrazioni originali di Edmund Frederick già utilizzate nella sua serializzazione su rivista in Australia e negli States.
[Edwin] Gerald [Jones] Biss (1876-1922) fu un giornalista inglese di Cambridge appassionato di automobili. Questa sua passione trasuda con chiarezza dalla novella: non potrà mancarsi di notare infatti l’amorevole descrizione delle vetture in possesso dei vari personaggi che muovono e interagiscono nella vicenda - sostanzialmente “un’indagine” attorno una serie di orrendi delitti occorsi nella campagna del Sussex.
La porta dell’irreale è un racconto che fu lodato persino dal Solitario di Providence: “Dracula ha ispirato molti simili romanzi di orrore soprannaturale, e uno dei migliori esempi è probabilmente La porta dell’irreale di Gerald Biss, che mostra particolare destrezza nell’affrontare la comune superstizione del lupo mannaro”. Con queste parole H.P. Lovecraft accostò, nel suo famoso saggio L’orrore soprannaturale nella letteratura, il romanzo di Biss al capolavoro di Stoker. Un accostamento giustificabile per il fatto che - quantomeno nel primo atto, la struttura del romanzo non è dissimile da quella epistolare di Dracula (con tanto di stralci, memorandum e missive), e presenta una dimensione corale della vicenda, con esiti altrettanto ottimi.
A differenza del Dracula, però, l’ambientazione de La porta dell’irreale non è quella gotica o vittoriana, bensì quella dell’era della motorizzazione. Non mancano comunque atmosfere cupe e misteriose, fascinazione e senso d’inquietudine, passioni oscure e ritmo incalzante, lotta tra Bene e Male, narrazione coinvolgente... il tutto sapientemente orchestrato con uno stile di scrittura comunque molto classico. E nel garantire maggiore immersività ruolo importante hanno le già citate illustrazioni d’epoca e la pregevole fattura del volumetto che, seppur paperback, presenta un’ottima veste editoriale arricchita da un’evocativa copertina con illustrato un batacchio ricavato da una testa di lupo.
Ciò detto, il senso d’apprensione che trascina il lettore fino agli ultimi capitoli purtroppo non sfocia nell’epilogo tanto [da TE] atteso: le descrizioni delle creature e la loro soppressione non ti hanno convinto del tutto, nonostante il fatto innegabile che La porta dell’irreale abbia rappresentato, per la figura letteraria del lupo mannaro, un esercizio di codifica decisiva (seppur non definitiva) come lo fu in precedenza quella di Stoker per il “collega” vampiro: manca quella rappresentazione mostruosa, sanguinaria e dinoccolata della creatura, o l’ausilio di strumenti tipici come i proiettili d’argento. Ma forse, da questo punto di vista, bisognerà aspettare che sia il cinema ad impossessarsi della figura del licantropo!
EDIT: Si chiude con La porta dell’irreale il tuo ciclo di letture sui lupi mannari, dopo Il lupo dei cugini Émile Erckmann & Alexandre Chatrian, Il signore dei lupi di Alexandre Dumas, Il figlio della notte di Jack Williamson, il mammuthone Newton & Compton Storie di lupi mannari [contenente tanti racconti classici dei maestri della narrativa breve], nell'attesa di poter leggere prima o poi il penny dreadful/romanzo-fiume Wagner, the wehr-wolf di George W.M. Reynolds, finora inedito nel Bel Paese.
domenica 15 ottobre 2023
Gomòria. Commento
Editore: Cliquot
Autore: Carlo H. De’ Medici
Genere: weird
Pagine: 240
Voto: ★★★★☆
Autore: Carlo H. De’ Medici
Genere: weird
Pagine: 240
Voto: ★★★★☆
Terminato di leggere qualche mese addietro, Gomòria è un oscuro romanzo gotico italiano del 1921 - a firma dell’altrettanto oscuro autore Carlo H. De’ Medici - riscoperto e ristampato da Cliquot grazie ad una campagna di crowdfunding nel 2018.
Di Carlo Hakim De’ Medici (1877-19??) si hanno scarne notizie, tanto da non conoscere nemmeno la data di morte precisa né tantomeno il luogo della sua sepoltura. Italiano da parte di padre, austriaco da parte di madre, crebbe all’interno di una comunità ebraica a Gradisca d’Isonzo, in Friuli. Fu giornalista, scrittore gotico, illustratore e occultista. I suoi testi sono di difficilissima reperibilità, sovente pubblicati una sola volta e mai più ristampati.
Gomòria è un racconto che oscilla tra la tradizione decadente del Dorian Gray di Oscar Wilde e quella del Piacere di Gabriele D’Annunzio. Racconta della decadenza di Gaetano Trevi di Montegufo, un dandy amato dalle donne più per la munificenza con cui dona i suoi ori che per la prestanza del suo fisico guasto, e del suo scivolamento nell’insoddisfazione. Un inetto, vizioso, vacuo e velleitario erede di un’avvizzita nobile famiglia caduto in disgrazia dopo una vita di scialo ed eccessi nella Napoli fin de siècle. Perennemente annoiato e sempre in cerca di nuovi stimoli e piaceri, la sua noia lo spinge alla continua ricerca di stravaganze che gli facciano ribollire il sangue, come i voluttuosi siparietti, con tanto di travestimenti e scenografia a tema, durante i quali la domestica Simona e la prostituta Matelda esaudiscono le sue deviate perversioni. Così quando Zimzerla, zingarella di quindici anni, si presenta alla sua porta, lui la accoglie, la accudisce, trasforma la stracciona in una bambola raffinata. E mentre ella sboccia, lui si prefigura il gusto che proverà nel deturparla e infine riabbandonarla all’angolo della strada. Ma Zimzerla non è chi dice di essere: serva e al contempo tiranna di Gaetano, condurrà l’uomo nella sua caduta verso l’inferno!
Gomòria riprende le atmosfere cupe e diaboliche di classici quali Frankenstein e Dracula: gran parte della storia si svolge infatti in un vecchio podere dal nome più bello di sempre: la Malanotte, nei pressi di Grosseto, in una lugubre Maremma non ancora bonificata. Ed è anche un’interessante raccolta di testi occulti: nel castello infatti è presente una biblioteca piena di antichi libri di magia, esoterismo e alchimia, quasi tutti realmente esistenti, che vengono ivi presentati. De’ Medici presenta ritualità e descrizioni di evocazioni e formule magiche. Nell’introduzione, addirittura, Gomòria viene presentato quale “romanzo esoterico iniziatico” ma si tratta di una definizione a mio avviso fin troppo entusiastica: alla fine dei conti resta “solo” un ottimo romanzo nero!
EDIT: In conclusione è interessante far notare come i personaggi di Zimzerla e di De’ Medici siano stati ripresi nel fumetto bonelliano Dampyr di agosto 2023, dove l'affascinante Gomòria veste i panni del "demone della lussuria capace di assumere le sembianze di qualunque donna"... praticamente il sogno di ogni uomo, ahahahah!!!
Di Carlo Hakim De’ Medici (1877-19??) si hanno scarne notizie, tanto da non conoscere nemmeno la data di morte precisa né tantomeno il luogo della sua sepoltura. Italiano da parte di padre, austriaco da parte di madre, crebbe all’interno di una comunità ebraica a Gradisca d’Isonzo, in Friuli. Fu giornalista, scrittore gotico, illustratore e occultista. I suoi testi sono di difficilissima reperibilità, sovente pubblicati una sola volta e mai più ristampati.
Gomòria è un racconto che oscilla tra la tradizione decadente del Dorian Gray di Oscar Wilde e quella del Piacere di Gabriele D’Annunzio. Racconta della decadenza di Gaetano Trevi di Montegufo, un dandy amato dalle donne più per la munificenza con cui dona i suoi ori che per la prestanza del suo fisico guasto, e del suo scivolamento nell’insoddisfazione. Un inetto, vizioso, vacuo e velleitario erede di un’avvizzita nobile famiglia caduto in disgrazia dopo una vita di scialo ed eccessi nella Napoli fin de siècle. Perennemente annoiato e sempre in cerca di nuovi stimoli e piaceri, la sua noia lo spinge alla continua ricerca di stravaganze che gli facciano ribollire il sangue, come i voluttuosi siparietti, con tanto di travestimenti e scenografia a tema, durante i quali la domestica Simona e la prostituta Matelda esaudiscono le sue deviate perversioni. Così quando Zimzerla, zingarella di quindici anni, si presenta alla sua porta, lui la accoglie, la accudisce, trasforma la stracciona in una bambola raffinata. E mentre ella sboccia, lui si prefigura il gusto che proverà nel deturparla e infine riabbandonarla all’angolo della strada. Ma Zimzerla non è chi dice di essere: serva e al contempo tiranna di Gaetano, condurrà l’uomo nella sua caduta verso l’inferno!
Gomòria riprende le atmosfere cupe e diaboliche di classici quali Frankenstein e Dracula: gran parte della storia si svolge infatti in un vecchio podere dal nome più bello di sempre: la Malanotte, nei pressi di Grosseto, in una lugubre Maremma non ancora bonificata. Ed è anche un’interessante raccolta di testi occulti: nel castello infatti è presente una biblioteca piena di antichi libri di magia, esoterismo e alchimia, quasi tutti realmente esistenti, che vengono ivi presentati. De’ Medici presenta ritualità e descrizioni di evocazioni e formule magiche. Nell’introduzione, addirittura, Gomòria viene presentato quale “romanzo esoterico iniziatico” ma si tratta di una definizione a mio avviso fin troppo entusiastica: alla fine dei conti resta “solo” un ottimo romanzo nero!
Arricchito dalle tavole originali di De’ Medici e da un’accurata scelta dei materiali di stampa (rilegatura filo refe su carta fedrigoni), Gomòria rappresenta una perla rara nel panorama editoriale weird italiano attuale, reliquia di una stagione dimenticata del fantastico italiano assieme ad altri meritevoli recuperi quali Il vampiro di Franco Mistrali (Edizioni Arcoiris) e l’antologia Racconti neri e fantastici dell’Ottocento italiano a cura di Riccardo Reim (Newton & Compton).
Sfarzoso e barocco nello stile eppure di facile lettura, compiaciuto nell’incedere sulle efferatezze messe in atto dal protagonista e anticipatore di futuri classici come Il Club Dumas (1993) di Arturo Pérez-Reverte, Gomòria assomma ogni tòpos della letteratura gotica: dal patto col diavolo di faustiana memoria alla femme fatale, dal castello maledetto allo pseudobiblia. E parla chiaro sin dalla copertina [che riproduce quella originale illustrata direttamente da De’ Medici]: un affascinante demone nudo con tanto di corna, come a dire “lasciate ogne speranza o voi ch’intrate”!
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